Prima pièce teatrale di Cechov, poco rappresentata in Italia, rivive nella messinscena curata da Filippo Dini. Lo “spleen” cecoviano si traveste d’assurdo, di un grottesco che però non scade mai nel mascherone, con la sua cruda e dolorosa verità – Maria Grazia Gregori
Contro i drammaturghi suoi contemporanei che, secondo lui, sceglievano come protagonisti angeli, mostri e buffoni scrivendo nel 1887 la sua prima pièce, Ivanov, Cechov, fino ad allora apprezzato autore di novelle, inventa un personaggio fuori dagli schemi, ma fortemente reale perché proprio la realtà vuole raccontare in teatro agli spettatori. La realtà, in questo caso, per lui è rappresenta da un uomo senza qualità e dal milieu che lo circonda: infingardo, corrotto, fatto di arrampicatori, imbroglioni, gente che vive alla giornata, spesso di espedienti, senza riuscire a dare un senso alla propria vita, sostanzialmente cinica.
Ivanov ha fatto un matrimonio che si è rivelato infelice con una donna ebrea di ceto più modesto, del tutto estranea al suo mondo di piccolo proprietario terriero che avrebbe voluto cambiare le cose con una maggiore giustizia sociale senza però riuscirci. Ha tentato di fare l’eroe sentendosi superiore a tutti gli altri, di essere più generoso, più onesto di quanto la sua natura fragile, la sua anima mediocre gli permettessero. Dopo cinque anni il suo matrimonio è finito da tempo: non ama più sua moglie malata di tisi che tradisce e insulta e che lo sorprende nel tradimento con la giovane Saša prima di morire. Ma per questa sua tristissima morte non sente “né amore, né pietà, ma una specie di vuoto”. Disprezzabile ma non cattivo, fa la sua infelicità e quella degli altri, ma è sostanzialmente incolpevole perché gente come lui non potrà mai risolvere i problemi, ma subirli.
A mettere in scena questa commedia scomoda coprodotta dal Teatro Due di Parma e dal Teatro Stabile di Genova, per più aspetti inquietante, assai poco rappresentata in Italia, ci ha pensato il quarantaduenne pluripremiato (come attore) Filippo Dini che ha anche riservato per sé, con buon risultato, il ruolo principale guidando uno spettacolo che, fra qualche lentezza di troppo e qualche felice intuizione, arriva alla sua conclusione con il fatidico colpo di pistola che Ivanov – fra il disinteresse generale e nella concitazioni di un matrimonio (il suo e di Saša) mandato a monte da lui -, si spara fra lo sgomento dei genitori della ragazza, dello zio sciroccato, della arrampicatrice sociale che vorrebbe diventare contessa, del logorroico imbroglione che “insegna” agli altri come arricchirsi, del dottore che continuamente lo ha richiamato al dovere nei confronti della moglie malata, in realtà un suo, neanche tanto, nascosto persecutore.
Lo spettacolo inizia con le luci accese in sala e in palcoscenico con Ivanov, che legge un libro, già seduto a un tavolo. Del resto è lui il fulcro dell’ultimo anno della sua vita che gli si fa e si disfa intorno suggerita dal movimento delle scene che rappresentano interni ed esterni, sempre con la natura sullo sfondo. Una regia lineare, quella di Dini, più interessante nella seconda parte dello spettacolo, costruita sul ritmo di un vaudeville in cui i sentimenti e le azioni si confondono e i personaggi sembrano stritolati da un ingranaggio che li rende impotenti non solo verso gli altri, ma anche nel realizzare la propria vita. Soprattutto, questo vale per lui, Ivanov: vorrebbe, ma non può. A venire in primo piano, comunque, nel vagolare all’apparenza senza meta dei personaggi (con Filippo Dini vorrei ricordare Sara Bertelà, Gianluca Gobbi, Nicola Pannelli, Valeria Angelozzi) è l’insignificanza, lo spleen cecoviano, che si traveste d’assurdo, di un grottesco che non scade mai nel mascherone, con la sua cruda e dolorosa verità.
Visto al Teatro Franco Parenti di Milano. Prossime date: Genova, Teatro Della Corte, 20 ottobre-1° novembre; Roma, Teatro Eliseo dal 3 al 15 novembre; tutte le date della tournée QUI
Ivanov
di Anton Cechov
traduzione Danilo Macrì
regia Filippo Dini
con Filippo Dini, Sara Bertelà, Nicola Pannelli, Gianluca Gobbi, Orietta Notari, Valeria Angelozzi, Ivan Zerbinati, Ilaria Falini, Fulvio Pepe
assistente alla regia Carlo Orlando
scene e costumi Laura Benzi
musiche Arturo Annecchino, Luca Annessi (assistente)
luci Pasquale Mari
produzione Fondazione Teatro Due, Teatro Stabile di Genova