I Post di Renato Palazzi

In cui si torna sui perversi effetti della riforma dello spettacolo (che continua a mietere vittime), si consiglia un’utile lettura, si riferisce di strane diatribe fra attore ed autore sciorinate in pubblico e, soprattutto, si dice la propria su Valentino Rossi. Che c’entra il teatro? C’entra, c’entra… – Renato Palazzi

Fra i colpiti e affondati più illustri del decreto di riforma dello spettacolo dal vivo c’è ora anche la compagnia Krypton, che a causa di un taglio di 51 mila euro – circa un terzo del suo bilancio! – non ha potuto accedere al bando per la rinnovata assegnazione del Teatro Studio di Scandicci, dove ha avuto stabilmente sede dal ’98 (nella foto, “Teorema” del ’90). Stupisce, in casi come questo, l’indifferente silenzio del teatro italiano, che finge di non accorgersi che, a causa del famigerato algoritmo, sta perdendo dei pezzi importanti della sua storia di questi anni. Potrà piacere o non piacere ciò che fa Giancarlo Cauteruccio, ma sotto la sua guida il Teatro Studio è diventato un punto di riferimento nazionale per la ricerca, per la sperimentazione dei nuovi linguaggi e delle nuove tecnologie, per il ricambio generazionale. Ora, a quanto risulta, entrerà a far parte del carrozzone della Fondazione Teatro della Toscana.

La scorsa estate Dario Fo ha pubblicato un Nuovo manuale minimo per l’attore, una sorta di trattatello rivolto a chi muove i primi passi alla ribalta, che assembla un po’ casualmente vari suoi scritti sui temi più diversi, dai vecchi guitti di paese alle stragi di stato. Se volete trovare però le indicazioni di un vero maestro alle nuove leve, leggete Farsi luogo di Marco Martinelli, di prossima uscita presso Cue press. In questo prezioso libriccino, una quarantina di pagine di serrate argomentazioni, il regista del Teatro delle Albe non dispensa consigli su cosa fare se si dimentica la battuta, ma traccia la vibrante mappa etica – e più ancora, vorrei dire, profondamente morale, dunque profondamente politica – di un teatro che sia utile e necessario come l’ago per cucire. «Il movimento fondamentale del farsi luogo è il dialogo: a questo serve l’ago per cucire, per tessere il dialogo. Il movimento fondamentale è il rivolgersi, come scrive Martin Buber. Occorre pensare allo spettatore come a colui al quale ci rivolgiamo».

A proposito di Martinelli, e del suo Pantani, ciò che è successo a Valentino Rossi nella penultima corsa del motogp fa venire in mente – con conseguenze, si spera, meno tragiche – Madonna di Campiglio alla vigilia dell’ultima tappa del Giro d’Italia ’99. Là Pantani è uscito scortato dai carabinieri, qui Rossi ha subito l’aggressione di un bullo isterico. Là si è colpito un atleta nel pieno della maturità, qui un campione ormai vicino al tramonto, cui è stata tolta probabilmente l’ultima chance di conquistare il suo decimo titolo mondiale. Il risultato finale è lo stesso, uno sfregio alla giustizia sportiva, ma anche un torto a quegli spettatori che hanno seguito il campionato gara dopo gara, fiduciosi in un ambiente che credevano leale e pulito, dove si dà il meglio di sé senza calcoli di scuderia, di nazionalità o di rapporti personali. Cosa c’entra col teatro, dite voi? Ma l’avete vista la sceneggiata di Marquez, che con aria innocente accusa Rossi di avergli fatto rischiare la vita, dopo aver tentato di buttarlo giù un paio di volte? E avete visto la recita di Lorenzo, che invoca sdegnato sanzioni più gravi per il suo avversario? Bisognerebbe chiedersi, a questo punto, se dietro la combine fra loro ci sia solo il dispetto di un ragazzino capriccioso, e non altri e più oscuri interessi come quelli che emergono dall’affaire Pantani.

Di scontri di opinione, malumori, disaccordi in tanti anni di teatro ne ho visti in quantità, ma di situazioni strane come quella che si verifica in palcoscenico, durante le repliche di Scene d’interni dopo il disgregamento dell’Unione Europea, il testo di Michele Santeramo diretto e interpretato da Michele Sinisi, è raro trovarne: nel bel mezzo della rappresentazione Sinisi si rivolge al pubblico dicendo che la scena successiva – in cui si evocano le vittime dell’euro, i morti, i suicidi – non gli piace, che la disapprova nel contenuto e nella forma, e non la taglia solo perché incarna il pensiero dell’autore, lasciandola affidata alla voce registrata di quest’ultimo. L’effetto straniante sarebbe piaciuto a Brecht, ma in realtà non fa che alterare ulteriormente gli equilibri di uno spettacolo che già non funziona. A complicare le cose ci si mette poi lo stesso Santeramo, che diffonde un’e-mail in cui prende a sua volta le distanze da quel brano, precisando che ne preferiva un’altra versione, non utilizzata da Sinisi. Dato che i due lavorano insieme da anni, e sono entrambi artisti seri, potevano forse accordarsi prima per evitare questo gioco degli equivoci.