I Post di Renato Palazzi

La memoria di Kantor che sbiadisce, quella di Marcello Marchesi che andrebbe recuperata e il valore del nuovo teatro italiano che viene riconosciuto ovunque tranne che in ItaliaRenato Palazzi

Sono passati venticinque anni dalla morte di Tadeusz Kantor, e il numero di coloro – critici, studiosi – che hanno visto direttamente i suoi spettacoli va fatalmente diminuendo. Anche all’ampio convegno che gli ha dedicato a Roma l’Università La Sapienza, nel centenario della nascita, si coglieva il fatto che molti relatori partivano da testi o documenti scritti, appunti, riflessioni teoriche dell’artista, invece che da una conoscenza dal vivo. Rischiavano così di estrapolare singole frasi, di enfatizzare l’importanza di certe affermazioni perdendo di vista il contesto concreto a cui si riferivano, e incorrendo dunque in pericolosi equivoci. Prendiamo il tema della Morte, ad esempio, che nei suoi spettacoli aveva un ruolo importante, ma non così assoluto come si vorrebbe far credere: Kantor, di certo, tutto era fuorché un temperamento lugubre, il suo teatro era anche pieno di ironia, di spunti clowneschi. Considerarlo unicamente come un maniaco di croci e bare finisce con l’avallare i luoghi comuni di chi quel percorso creativo non lo ha mai capito e non si è sforzato di capirlo.

Giornalista, sceneggiatore e regista cinematografico, autore di testi per la pubblicità, per i programmi radiofonici, per il teatro di rivista Marcello Marchesi, nell’arco della sua prolifica carriera, è stato in genere ritenuto poco più di un brillante battutista: forse non gli ha giovato il successo televisivo, forse ha agito in una fase storica che giudicava freddure e giochi di parole tendenzialmente qualunquisti. Oggi, a quasi quarant’anni dalla morte, certe sue facezie fulminee, certe sue acri acrobazie lessicali riescono a cogliere meglio di interi trattati il senso di un’epoca, di un costume collettivo: «bolli, sempre bolli, fortissimamente bolli» è una straordinaria sintesi dell’oppressione burocratica, «nessuna nuora, buona nuora» è un perfido compendio dei disagi della famiglia. «Ogni rovescio ha la sua medaglia», decretava con una sorta di pungente disincanto. A questo acuto osservatore della nostra vita nazionale la casa editrice Bompiani dedica ora un Panta. Agenda Marchesi, a cura di Mariarosa Bastianelli e Michele Sancisi, che raccoglie documenti, immagini, scritti suoi e testimonianze di chi lo ha conosciuto o ha lavorato al suo fianco. Un’occasione per riscoprire un ingegno per molti aspetti sottovalutato.

Lo scorso 7 dicembre, al Martin E. Segal Theatre Centre di New York, ha preso il via un progetto di valorizzazione della drammaturgia italiana di oggi, promosso dal Centro stesso in collaborazione con “Umanism”, una piattaforma di scambi culturali italo-americani, e con la società romana di produzione “369 gradi”: al centro dell’iniziativa ci sono quattro testi vincitori di vari premi sulle nostre scene, Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni di Deflorian-Tagliarini, Il guaritore di Michele Santeramo, I vicini di Fausto Paravidino, L’origine del mondo di Lucia Calamaro. Questa giornata introduttiva ha proposto una tavola rotonda con gli autori e una lettura di estratti delle traduzioni americane dei testi, in vista della loro pubblicazione in volume e di un festival con produzioni americane delle opere selezionate. È un percorso che potrà dare risultati più o meno importanti, ma che conferma ancora una volta come in altri paesi ci sia un’attenzione nei confronti di eccellenze artistiche che da noi tendono a essere poco considerate o spesso penalizzate.