Appuntamento molto atteso al Teatro Comunale di Bologna era il Werther di Massenet, opera un tempo di grande repertorio e tuttora sempre molto amata. E nel caso di questa nuova produzione bolognese, che chiudeva la stagione 2016, il Werther era tutto da scoprire, visto che si trattava di un fuoriclasse come Juan Diego Florez – Davide Annachini
Appuntamento molto atteso al Teatro Comunale di Bologna era il Werther di Massenet, opera un tempo di grande repertorio e tuttora sempre molto amata, vuoi per l’impatto sentimentale della musica, vuoi soprattutto se l’occasione prevede la presenza di un protagonista di classe. E nel caso di questa nuova produzione bolognese, che chiudeva la stagione 2016, il Werther era tutto da scoprire, visto che si trattava di un fuoriclasse come Juan Diego Florez.
Dopo vent’anni di militanza in Rossini, in cui si è imposto da subito come uno degli interpreti più straordinari che si ricordino, il tenore peruviano sembra guardarsi intorno, saggiando un repertorio dalle potenzialità diverse, come per l’appunto quello francese, in cui le incursioni nel Grand-Opéra più improbo del Guillaume Tell e de Les Huguenots si spera restino isolate, dato il forte rischio che possano compromettere una vocalità delicata come la sua, e si orientino magari sul Bizet de Les pêcheurs de perles, sull’Auber de La Muette de Portici, sul Donizetti parigino del Dom Sébastien. Certamente titoli non popolarissimi, si dirà, ma in cui Florez non temerebbe confronti, come non li ha temuti in opere assai più desuete, che hanno comunque garantito trionfi di pubblico e di botteghino.
Werther, per la notevole espansione lirica e per gli slanci drammatici, poteva sembrare una parte al limite per Florez, anche per la densità della scrittura orchestrale che rischia di portare a spingere la voce per arrivare al pubblico. In realtà il suo debutto scenico – preceduto da quello in forma di concerto a Parigi – è stato progettato con tutte le attenzioni. La sala raccolta e sonora del Bibbiena, un cast molto omogeneo nel peso vocale e soprattutto un direttore della sensibilità di Michele Mariotti, che con Florez ha avviato da tempo un’amichevole collaborazione artistica, sono stati i presupposti per confezionare un’edizione dall’esito garantito.
Da parte sua Florez ha affrontato la parte con appassionata adesione, cantando con generosità e slancio nel controllo comunque perfetto dell’emissione, sempre limpida, intensa, squillante, ma anche regalando nella scena della morte un momento altamente poetico, grazie a un’esecuzione tutta a fil di voce che ha sorpreso le aspettative e che ha rivelato una maturata sensibilità d’interprete. Un Werther risolto in chiave fortemente pessimistica, con un languore decadente lontano da quell’eroismo romantico di certo filone interpretativo francese e semmai più vicino a quello latino di casa nostra, che da Schipa a Kraus ha delineato il personaggio di Goethe come un predestinato sognatore perdente. L’impronta personale impressa da Florez è stata quella però di aderire all’idea originale di un “giovane” Werther, nello slancio candido dell’innamoramento come nell’autolesionismo dell’abbrutimento alcolico, a cui la sempreverde freschezza timbrica ha dato ideale verosimiglianza.
Al prevedibile trionfo di Florez – che generosamente ha risposto con un bis della celeberrima “Pourquoi me réveiller?” – ha fatto da contraltare quello di Mariotti, amatissimo direttore musicale del teatro bolognese, anch’egli al debutto nell’opera di Massenet, che ha affrontato con uno slancio e una passionalità genuine, filtrate attraverso una sensibilità attenta ed emozionante, nel perfetto dosaggio di dramma e sentimento, di estasi e tragedia, in un crescendo trascinante. La sua lettura, così piena di fuoco e tecnicamente impeccabile (con lui l’Orchestra del Teatro Comunale dà sempre il meglio di sé), ha rappresentato il vero punto di forza dell’esecuzione, spingendo lo stesso protagonista a dimenticare talvolta il suo proverbiale aplomb e ottenendo pieno coinvolgimento dal resto della compagnia.
Qui abbiamo avuto la sorpresa dell’affascinante Charlotte di Isabel Leonard, bella da vedere e ancor più da ascoltare, per la vocalità intensa, per il canto vibrante, per l’adesione sincera al personaggio, risolto senza affettazione ma con una femminilità meno sottomessa e più orgogliosa, che è servita benissimo a identificare il taglio moderno voluto dalla regia per il personaggio dibattuto della coprotagonista. Vocalità fresca e penetrante quella della Sophie di Ruth Iniesta e autorevole quella del signorile Albert di Jean-François Lapointe, che hanno completato una compagnia ottimamente assortita e scenicamente efficace.
Lo spettacolo di Rosetta Cucchi – con il supporto delle scene e dei costumi per lo più monocromatici di Tiziano Santi e Claudia Pernigotti, insieme alle luci di Daniele Naldi, giocate sulle intensità fredde e calde come a rendere una sorta di continuo trapasso tra realtà e flashback – inquadrava la figura di Werther quale spettatore della sua disperata storia d’amore, tenendolo perennemente in un angolo della scena nei momenti che non lo vedevano direttamente coinvolto. L’ambientazione moderna, riferita più o meno agli anni Cinquanta, e incentrata sul simbolo di una casa tipicamente borghese, che man mano si allontanava e si rimpiccioliva, come il sogno irraggiungibile di una stabilità sentimentale dell’infelice protagonista, ha trovato una sua giustificazione nel voler recuperare quel moralismo di devozione coniugale che ancora teneva sottomessa la donna nella società benpensante di non troppi anni fa. E da qui la tragedia di un amore vietato dalle convenzioni dell’epoca, quanto mai romantico nel suo essere impossibile e irrealizzabile, si colorava di una tinta meno svenevole e più disperata, meno convenzionale e più esistenziale, con diversi momenti pertinenti e di efficace presa teatrale, che hanno contribuito al successo già incandescente di questa felicissima esecuzione.
Visto il 18 dicembre al Teatro Comunale di Bologna
WERTHER
Dramma lirico in quattro atti
Libretto di Édouard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann dal romanzo I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang von Goethe
Musica di Jules Massenet
Werther JUAN DIEGO FLÓREZ
Le Bailli LUCA GALLO
Charlotte ISABEL LEONARD
Albert JEAN-FRANÇOIS LAPOINTE
Schmidt ALESSANDRO LUCIANO
Johann LORENZO MALAGOLA BARBIERI
Sophie RUTH INIESTA
Brühlmann TOMMASO CARAMIA
Kätchen ALOISA AISEMBERG
Orchestra e Coro di Voci Bianche del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Michele Mariotti
Maestro del Coro di Voci Bianche Alhambra Superchi
Regia Rosetta Cucchi
Scene Tiziano Santi
Costumi Claudia Pernigotti
Luci Daniele Naldi
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna