BolzanoDanza 2017, dedicato al tema dei ‘collegamenti’ e delle relazioni umane ha messo a fuoco un altro tema costantemente dibattuto dagli osservatori della danza di ieri e di oggi. – Silvia Poletti
Dove va la danza contemporanea? Chi la spunterà tra coloro che utilizzano la disciplina del movimento per elaborare le proprie fantasie sceniche nutrite da altre suggestioni e quelli che invece continuano a esplorare senza tregua le infinite potenzialità compositive e formali, estetiche e stilistiche del corpo che si muove nello spazio? Vexata quaestio, per altro antica come la storia di quest’arte che si è sempre trovata a bilanciare questi connaturati, insiti dualismi.
Ripensando alla fitta serie di spettacoli visti nei nostri giorni a BolzanoDanza 2017, non può che riemergere prepotentemente l’irrisolvibile quesito. Da un lato, infatti, ora come sempre, ha legittimità di esistere e trovare nuove forme una espressione di teatro che usa la danza ( o più in generale il movimento disciplinato) per le proprie invenzioni immaginifiche, a loro volta capaci di suscitare in chi guarda personalissime ideazioni. Dall’altro si impone la prelibatezza del genio che sa comporre con inesauribile inventiva e rigorosa logica una scrittura coreografica nello spazio e attraverso la sapienza di danzatori fascinosi si offre all’ammirazione estetica e intellettuale del suo estro.
Certo il parallelo è improbo quando si confronta un genio della composizione ormai storicizzato come Merce Cunningham ad un autore in pieno divenire, pur nella sua spiccata e potente cifra teatrale come il trentacinquenne catalano Marcos Morau, coreografo e leader di La Veronal, comunità di artisti e creativi. Accade grazie al Ballet de Lorraine, uno dei pochi Centri Coreografici Nazionali francesi che mantiene un occhio attento sulla scrittura coreografica a Bolzano in prima nazionale.
Erede della cultura moderna catalana, irrorata dalle ventate creative delle avanguardie storiche – in primis il movimento modernista- Morau è tuttavia un affascinante visionario, abile nel fondere i diversi mezzi teatrali ( musica, parole, movimento, ma anche illuminotecnica, scenografia) per dare sostanza ai suoi/nostri sogni. L’elemento onirico è del resto centrale al Surrealismo evocato anche in questa piéce suggestiva intitolata Le surrealisme au service de la révolution, dall’omonima rivista in cui si agognava una vera e propria trasformazione del mondo a partire dall’individuo, su basi intellettuali che sposavano Marx e Rimbaud a Freud. Non a caso il lavoro apre con un proclama, enunciato in complesso equilibrismo da una ballerina appesa a circensi anelli: una rilettura contemporanea, a tratti rabbiosa, a tratti ideologica delle Beatitudini evangeliche. Ma è una rabbia che si stempera ben presto, nelle atmosfere lattiginose di un sogno inafferrabile, liquido, silenzioso. Neppure lucidamente violento – come invece quelli del Bunuel a cui Morau dichiara il debito poetico- bensì impalpabile, brumoso, da reverie post-romantica: complici le crinoline bianche e i bianchi abiti dei danzatori che formano interminabili tableaux vivants immersi in ombre lunari, reiterando azioni, e sfalsando tempi con cui dipanano le catene umane in cui sono imbrigliati, gruppi ‘scultorei’ in cui li accosta l’autore, non lontano dalle atmosfere di Romeo Catsellucci e dei suoi figli artisti. Brano espositivo, quindi, più che di contenuto, accurato nella raffigurazione più che nell’invenzione coreografica, Le surrealisme punta all’irretimento sensoriale, ravvivato dalla scena finale, ovviamente di impatto, in cui tutti i danzatori appaiono incappucciati – nei tipici copricapi appuntiti delle processioni penitenziali- e seguono il tambur maggiore in una reiterata sequenza di percussioni decisamente inquietanti, che volge il sogno in un incubo esaltante.
A Morau, si diceva, si contrapponeva un saggio compositivo di Cunningham, Fabrications, anno 1987: quasi un lavoro ‘idillico’ con ragazzi in bianco e ragazze in inattesi abitini floreali, seppure nato dall’algebrico sovrapporsi di sessantaquattro sequenze accostate dalla casualità dei Ching. I quali evidentemente preconizzavano questa specie di postmoderna ‘dance at a gathering’, astratta eppure emozionale, negli intrecci che sembrano citare pas de quatre petipiani, duetti romantici tra ragazze e ragazzi, incupiti solo all’atletico passaggio di un uomo in nero. Naturalmente è solo la logica del movimento a creare l’azione, ma l’intreccio di linee e curve, i gruppi e i soli, il fluire sul palcoscenico è mirabile e- anche se i danzatori lorenesi tendono a classicheggiare un po’ troppo- ha la bellezza abbacinante del rigore intellettuale.
Dramma dal movimento: lo stesso di può dire di un altro grande esempio di lezione compositiva, come è A love supreme, che Anne Teresa De Keersmaeker compose sull’omonimo quartetto di Coltrane e oggi ha ripreso e rimodellato con Salva Sanchis per quattro danzatori provenienti dal suo centro di formazione PARTS.
Sulla scena del Teatro Comunale il lavoro si esalta nella prospettiva tradizionale. Ognuno dei quattro incarna fisicamente e dinamicamente uno strumento del quartetto: non pedissequamente, ma piuttosto energeticamente. Lo raffigura nell’essenza, ne sottolinea le prerogative timbriche e ritmiche, ma anche gli estri dell’interprete che lo animava con il suo talento. Nomi cult del jazz: McCoy Tyner, Elvin Jones, Jimmy Garrison e lo stesso Coltrane, di cui i quattro elaborano una individuale complessa partitura fisica, fatta di esplosioni energetiche e riflessioni quasi intimiste. Dialoghi e soliloqui coreografici di poderosa intensità che si fondono in magnifici unisoni, che esaltano la danza, la forza dell’interprete, il senso profondo dell’afflato spirituale ricercato dal capolavoro musicale e dalla investigazione dei due autori.
Cosa dire invece dell’ancora irrisolto 7pourRien, di Olivier Dubois, prima assoluta a Bolzano, ma evidentemente ancora in stato embrionale? Cosa dire di questa incursione nel mondo dei sette peccati capitali raccontati ai bambini immaginato dal coreografo/regista con tre danzatori e un funzionale apparato scenografico gonfiabile dal freddo colore dell’acciaio, scandito anche dai chilometri di pellicola d’alluminio utilizzata per mascheroni, costumi e attrezzistica varia? Qualche intuizione del fantasioso e provocatorio autore – soprattutto visivo ( compreso lo zucchero filato offerto, esplicito invito a peccare di gola, ai piccoli e grandi alla fine dello show) non è sufficiente ancora a capire dove vuole andare a parare. Una babilonia di lingue ( italiota, francese, inglese),qualche sequenza minimalista, un ammicco della danzatrice più anziana e bruttina, su tacco dodici per fare la seduttiva, musica rock con Billy Idol in pole position ad ottenebrare l’attenzione. Un pot pourri affastellato e non elaborato, appunti sparsi, vaghi riferimenti di difficile lettura. Sorvolando sulla sequenza di termini che bombardano lo schermo all’inizio della piéce ( ‘baccanale’, ‘stupro’ etc: davvero comprensibili a bambini di 8 anni?) e sul rutilare delle scene, si capisce che visto il tema ambizioso, l’autore non è ancora a fuoco nella messa in scena. Ma dall’ enfant gaté della danza francese attuale non si possono ammettere delusioni. E allora si fa come si faceva un tempo a scuola: rimandato a settembre.
Nella foto di M. Macchia Ballet de Lorraine in Le surrealisme … di M.Morau
Visti a BolzanoDanza 2017
Ballet de Lorraine CCN
Le Surrealisme au service de la Révolution – coreografia M.Morau
Fabrications – coreografia M.Cunningham
Rosas
A Love Supreme – coreografia A.T.De Keersmaeker Salva Sanchis
Ballet du Nord-CCN Roubaix
7pourRien -coreografia Olivier Dubois