Bolzano non ha paura di Merce

Praticamente unico in Italia Bolzano Danza si è ricordato di celebrare Merce Cunningham nel doppio anniversario della nascita e della scomparsa. Un’occasione preziosa per tornare a riflettere su cosa significa coreografia e danza. – Silvia Poletti

In un Paese teatrale che si sta dimostrando inconsolabile orfano di ‘Pina’ – celebrata a dieci anni dalla scomparsa da una ricca, affascinante e interminabile serie di eventi, mostre, spettacoli, dossier- resta una discutibile distrazione l’aver pressoché dimenticato l’anniversario di un altro Mostro Sacro della danza del Novecento, scomparso, come la Bausch ma ad un’età più aurea ( novantenne) nell’infausto 2009. Diametralmente opposto alla visione della danza viscerale, indagatrice, violenta e struggente della maestra tedesca, Merce Cunningham è comunque, di fatto, uno dei fulcri creativi dell’arte della coreografia del nostro tempo: e da lui, bene o male, si diparte l’onda tuttora agitata del post modern, che si allunga fin nei rivoli pur così amati ( ma spesso mal compresi) del concettuale e della non-danza. Sarebbe interessante una riflessione sul perché i nostri direttori artistici, i nostri festival e rassegne ‘di danza’ abbiano dedicato così tanto spazio all’una, trascurando praticamente l’altro. Si potrebbe provocare con un ‘Chi ha paura di Merce Cunningham?’: ma nel frattempo, restando in attesa di risposta diamo a Cesare quel che è di Cesare e rendiamo merito al festival Bolzano Danza 2019 che ad oggi ( fatto salvo un appuntamento al MADRE di Napoli in appendice all’evento celebrativo del centesimo compleanno di Merce, di spettro mondiale avvenuto nello scorso aprile) è l’unica manifestazione ( al momento) a rendere omaggio al suo genio coreografico.

E coreografia è proprio la parola chiave che rende chiaro il senso del valore più che mai attuale di Cunningham: il quale mise al centro della sua ricerca ( inesauribile e sempre in evoluzione) proprio l’idea di composizione dei corpi disciplinati nello spazio cangiante e inafferrabile ( there are no fixed points in space è una delle sue più note affermazioni). A differenza dei suoi predecessori – e non solo- i corpi disciplinati di Merce erano però anche ‘liberi’: nel senso che tutte le tecniche apprese confluivano in un unicum di possibilità che il maestro intravedeva nel danzatore, cui di volta in volta proponeva ( non imponeva)soluzioni – sia nell’individuale sviluppo di un movimento o una sequenza, sia nel partnering, sia nell’ ensemble. Il tutto, come sappiamo, rivendicato nella sua assolutezza: ovvero di arte in divenire e in essenza in quanto tale- senza alcun debito di colleganza con la musica, la drammaturgia, la scenografia.

Al Teatro Comunale di Bolzano l’omaggio a Cunningham è avvenuto con due importanti titoli della tarda creatività: Beach Birds ( 1991) e BIPED (1999) affidati al Centre National de Danse Contemporaine di Angers fin qui diretto da un ‘cunninghamiano’ doc, Robert Swiston, danzatore e poi assistente, nonché membro fondatore della Fondazione omonima . Una garanzia di cura nel minimo dettaglio evidente fin dall’apertura di sipario su Beach Birds, accompagnato dall’esecuzione live della composizione ’43’ di John Cage: una striscia blu che rimanda subito ad una ambientazione marina, corpi in silhouette con le inconfondibili ‘port de bras alla Merce’: braccia aperte, dritte, scostate dal busto che è appena inclinato ma sempre teso. Guizzi di polsi in controluce, qua e là, rompono lo still life ( e le pause e le pose in cui ogni tanto si fissano gli undici interpreti sono il leit motive del brano). In bellissime calzamaglie bianche dalla pettorina e maniche guantate nere i danzatori trasfigurano movimenti, scatti, guizzi che Cunningham ha colto dall’osservazione meticolosa di uccelli e animali vari. Il focus è sulle braccia e le articolazioni – che rimandano appunto ad ali di uccelli- e sulle linee terse, severissime, protese in avanti dei corpi. Sofisticato, suggestivo, rarefatto Beach Birds avvolge lo sguardo e lo ipnotizza con i suoi tempi lenti, le misteriose traiettorie dei ballerini che si sfiorano, si affiancano e poi si dileguano – come stormi di uccelli pronti a spiccare il volo.

BIPED che alla prima italiana di venti anni fa sorprese per la dialettica innovativa con la realtà virtuale ( giganteschi e poi lillipuziani avatar di danzatori in dialogo stretto con gli stessi, linee e punti ‘non fissi’ nello spazio improvvisamente invadenti lo spazio scenico e di fatto illusoriamente trasformandolo) oggi affascina di più proprio per il linguaggio della danza. Che è sempre più pura nell’estensione delle linee e anche nella disarticolazione del corpo: i danzatori continuano a gestire autonomamente lo spazio, ma a tratti gli unisoni, i lunghi arabesques, una certa morbida fluidità nello sviluppare il movimento – certo suggestionata dalla musica di Gavin Bryars- fanno pensare ad altro. Il critico del NY Times considerando anche gli ottant’anni dell’autore alluse a immagini trascendentali, di vita dopo la morte. Più semplicemente a me hanno richiamato i ballets blancs ( che in fondo raccontano la stessa cosa…).

Certo questo ‘immaginario’ è un sostrato della conoscenza e coscienza di Merce – siamo tutti figli di un passato, anche se ci appare ‘estraneo’. Ma nel caso certamente più che l’immagine poetica probabilmente di questi gioielli coreografici ottocenteschi ad attrarlo è stata l’ineccepibile logica compositiva. Tant’è. Resta la mirabile rigogliosa creatività che si sposa al rigore dell’esecuzione, l’inesauribile ricchezza di variazioni in tempi e direzioni che il corpo può esplorare. Resta, in una parola, la danza.

 

foto di Beach Birds di Andrea Macchia/ Bolzano Danza

Un commento su “Bolzano non ha paura di Merce

  1. Robert Swinston e un grande ; ed’è l’erede del mitico Cunningham . Bolzano in vetta all’Italia omaggio alla danza che conta