“Ricorditi di me, che son la Pia” e di un Donizetti raro

Al Teatro Verdi di Pisa si recupera un rarissimo Donizetti ‘dantesco’. Ma nonostante la buona volontà e l’importanza dell’operazione, non tutto sembra aver convinto Davide Annachini

Se la Donizetti-Renaissance è un fenomeno di lunga data, che negli ultimi sessant’anni ha recuperato praticamente tutto dello sterminato catalogo del musicista bergamasco, Pia de’ Tolomei resta tuttora uno dei titoli meno frequentati e bene ha fatto il Teatro Verdi di Pisa – insieme al Goldoni di Livorno e il Giglio di Lucca, in collaborazione con lo Spoleto Festival USA – a riproporla nell’edizione critica di Giorgio Pagannone, in ricordo di un soggetto così fortemente toscano legato alle memorie dantesche.

La poetica vittima delle gelosie e del cieco possesso maschile decantata nel Purgatorio dantesco rientrava perfettamente in quella quadreria di eroine medievali che tanto appassionava il pubblico dell’Ottocento romantico e che spesso giustificava l’interesse per un’opera, anche se per il resto debole o convenzionale. E’ questo un po’ il caso di Pia, che non rientra di certo tra i lavori sperimentali di Donizetti quanto tra quelli della maturità, pur non possedendo la stessa forza drammatica di un Roberto Devereux o tantomeno l’ispirazione inarrivabile di una Lucia di Lammermoor.

Scritta nel 1837 per la Fenice di Venezia ma costretta a ripiegare su un palcoscenico minore (l’Apollo) per via dell’incendio che allora come l’altro ieri aveva devastato il massimo teatro veneto, Pia non fu un successo al suo debutto e non bastarono gli aggiustamenti dello stesso Donizetti – addirittura un lieto fine per Napoli – a far prendere il volo a una partitura che in una ventina d’anni sparì definitivamente dalle scene per più di un secolo. Per quanto destinata a ugole eccelse e tenuta sotto osservazione da musicisti come Mercadante e Verdi, che dell’opera fecero riecheggiare alcuni temi nei loro lavori successivi (per tutti il celeberrimo “Amami Alfredo” della Traviata), Pia fatica a imporsi vuoi per lo scarso impatto della protagonista, personaggio costantemente devoto al patetismo e alla sottomissione, vuoi per lo sbrigativo disegno psicologico dei tre personaggi maschili che ruotano intorno a lei e di cui uno è mezzosoprano “en travesti”, secondo un’ormai vecchiotta tradizione rossiniana alla quale Donizetti fu costretto a cedere per favorire la protetta del presidente della Fenice. Ma la stessa struttura della composizione non offre molto più della convenzionale sequela di arie, cabalette, duetti e concertati, sino alla scena della morte di Pia, che è forse l’unica pagina degna di riscattare tutta l’opera, per quello spegnersi struggente e al tempo stesso dolcissimo con cui l’innocente scagionata perdona tutti e, vinta dalle febbri malariche della Maremma e da un veleno trangugiato giusto un attimo prima della sua discolpa, alita l’ultimo respiro.

Opera quindi non facile da sostenere, se non a patto di avere interpreti in grado di volare alto tra le insidie belcantistiche e interpretative. A Pisa forse il passo è risultato un po’ più lungo della gamba o quantomeno non sempre focalizzato sui non pochi giovani che ora più di prima sarebbero in grado di muoversi con proprietà in questo stile e che invece qui sono venuti a mancare, lasciando il posto a voci forse più adatte a ben altro repertorio. Di tutti il Ghino di Giulio Pelligra ha meglio risposto a queste attese, con una voce di tenore franca e squillante, che anche senza raggiungere la commozione a cui portava il pubblico Napoleone Moriani, il tenore “della bella morte” tra i primi interpreti dell’opera, ha comunque retto con onore una parte più impegnativa che remunerativa sotto il profilo dell’impatto, insolitamente riferita per il suo registro vocale al “cattivo” e non all’ amoroso della storia. In sintonia con la scrittura donizettiana è risultato anche il Rodrigo di Marina Comparato, che al di là di qualche nota acuta un po’ schiacciata ha mostrato disinvoltura nella coloratura, buon timbro e incisività nella risoluzione di un personaggio più di corredo che fondamentale. Valdis Jansons nel ruolo di Nello, marito di Pia che per gelosia ne decide l’isolamento e poi la morte, ha evidenziato un timbro baritonale piuttosto legnoso – messo a servizio con foga e alcune buone intenzioni espressive di un personaggio tutto a senso unico – che in mancanza di un autentico legato e di una vera mezzavoce ha faticato a restituire la fluidità del cantabile donizettiano.

E’ venuta soprattutto a mancare una protagonista attendibile sotto il profilo belcantistico da parte di Francesca Tiburzi, ascoltata solo poche settimane prima come un’onesta Tosca a Firenze ma che in tutt’altro repertorio come questo ha mostrato le corde, per la fatica a sostenere le incursioni in zona acuta, per l’impaccio nelle agilità ma soprattutto per la difficoltà nel gestire l’emissione al di là del forte, privando quindi il canto della sua morbidezza e il personaggio del suo patetismo, in particolare nella scena della morte, portata in fondo con evidente sforzo e scarsa suggestione. Discreti quasi tutti gli altri interpreti e buona la prestazione del Coro Ars Lyrica preparato da Marco Bargagna.

Forse la direzione piuttosto rigida e sonora di Christopher Franklin non ha aiutato le voci, portate a esibire un canto a pieni polmoni in un autore che invece esigerebbe sfumature e colori, e nemmeno la stessa Orchestra della Toscana, che nonostante l’indubbia qualità sarà da ricordare in momenti migliori, soprattutto in certi interventi strumentali solistici.

Lo spettacolo di Andrea Cigni – regista in altre occasioni apprezzabile – ha prestato il fianco a riserve, nel voler ambientare un soggetto così storico all’ epoca del Ventennio. Pia, moglie di un gerarca e addirittura collezionista d’arte (di grandi tele di Leonardo, Raffaello e Dosso Dossi che nemmeno il Louvre si potrebbe permettere), è anche qui vittima del potere e delle vicende politiche, proiettate dagli scontri tra Guelfi e Ghibellini a quelli tra fascisti e antifascisti. Una trasposizione che ha faticato a risultare veramente illuminante e convincente, risolta nella componente visiva dalle scene razionaliste di Dario Gessati, dai costumi anni Quaranta di Tommaso Lagattolla, dalle luci di Fiammetta Baldiserri.

Discreto il successo di pubblico, con qualche isolato dissenso per la regia, che non ha comunque incrinato la buona accoglienza di questo raro Donizetti.

Vista al Teatro Verdi di Pisa il 14 ottobre

PIA DE’ TOLOMEI
tragedia lirica in due parti di Salvatore Cammarano
musica di GAETANO DONIZETTI
Edizione critica a cura di Giorgio Pagannone
Edizioni Casa Ricordi, Milano

Pia, moglie di Nello, Francesca Tiburzi / Sonia Ciani
Ghino degli Armieri, Giulio Pelligra
Nello della Pietra, Valdis Jansons / Mauro Bonfanti
Rodrigo, fratello di Pia, Marina Comparato / Kamelia Kader
Piero, eremita, Andrea Comelli
Ubaldo, servitore di Nello, Christian Collia
Bice, Silvia Regazzo
Lamberto, antico servitore dei Tolomei, Claudio Mannino
Custode della Torre di Siena, Nicola Vocaturo

direttore Christopher Franklin
regia Andrea Cigni
scene Dario Gessati
costumi Tommaso Lagattolla
luci Fiammetta Baldiserri

Orchestra della Toscana

Coro Ars Lyrica
maestro del coro Marco Bargagna

Nuovo allestimento del Teatro di Pisa
coproduzione Teatro di Pisa, Teatro del Giglio di Lucca e Teatro Goldoni di Livorno
in collaborazione con Spoleto Festival USA