In gloria del Ballo scaligero Le Corsaire diverte e conquista

Titolo culto del repertorio ottocentesco, divertente e rocambolesco, ricco di pagine di bravura, Le Corsaire approda finalmente alla Scala e mette in spolvero l’ottima compagnia milanese, con tante stelle emergenti. – Silvia Poletti

Da quasi vent’anni – e circa quattro direttori- il Ballo della Scala cercava di portare sui suoi lidi il veliero del Corsaro. Finalmente l’impresa è riuscita, perfetta nei tempi e nella condizione della compagnia. Diciamo la verità: per un balletto come questo -esigentissimo per tutta le gerarchia di un corpo di ballo ‘all’antica’- altri tempi sarebbero stati prematuri. Oggi invece la compagnia scaligera sta vivendo un momento di grazia, con una fioritura di talenti notevole, e un lavoro di ‘fino’ per il corp de ballet che sente ancora i benefici della dura ma efficace direzione Vaziev ed è oggi mantenuto con studio certosino ( ma attenzione: basta niente che il cesello del raffinamento stilistico, pulizia delle file, rigore delle linee possono svanire in un attimo), mentre la scuola continua a licenziare ottime promesse: il titolo è sembrato quindi perfetto per dare giusto rilievo all’intero ensemble.

Grand ballet romantico-esotico ispirato alla lontana all’omonimo poema di Lord Byron, Le Corsaire si può considerare un cugino minore del capolavoro La Bayadére, ma  non meno dotato di questo di pagine coreografiche di squisita fattura, tra danze di carattere e grand pas di mirabile eleganza, oltre ad una gagliarda mèsse di atletiche variazioni maschili interpolate in era sovietica nel ‘pastone’ assemblato nel secondo ottocento da Marius Petipa, a partire dal celeberrimo assolo di Alì che apre con i poderosi saut de basque. Se peccati ci sono, sono veniali: la drammaturgia zoppica e punta all’ effettismo – culminante nella tempesta finale con conseguente naufragio- i personaggi sono manierati, pathos e idillio sono semplici coloriture della coreografia. Del resto il balletto, perfezionato appunto da Petipa per il pubblico aristocratico del Teatro Mariinsky, doveva soprattutto ‘intrattenere’, raffinato gioco d’evasione in cui particolare suggestione avevano le location esotiche. Ecco così che Corsaire ci porta in Grecia e Turchia, evocate anche qui da Luisa Spinatelli seguendo lo stile delle incisioni d’epoca che conferisce all’allestimento quella patina ‘anticata’ utile a ricordarci sempre che siamo di fronte a un ‘reperto’ storico.

La versione di Anna Marie Holmes, ballerina e maitre canadese che ebbe la ventura, ancor prima della glastnost, di studiare e danzare a Leningrado con i maestri assoluti dell’epoca sovietica, ha portato con sé in occidente le partiture coreografiche dei grandi classici ottocenteschi all’epoca pressochè sconosciuti oltre la cortina di ferro: ciò le ha permesso di diventare un’autentica autorità nel rimontare titoli meno frequentati del grande repertorio, restando anche successivamente una valida alternativa alle versioni filologiche di questi classici, apparse di recente sulle nostre scene.

Montato prima per il Boston Ballet e poi per l’American Ballet Theatre, Le Corsaire della Holmes punta su due qualità molto apprezzate dal pubblico americano: la velocità dei tempi e delle scene e la grande spettacolarità, affidata ad exploit e tour de force virtuosistici. Per i cultori della materia è decisamente una gioia per gli occhi, costantemente rilanciata da trovate e coup de theatre, oggi ingenui forse, ma pur sempre spettacolari. E dato che alla riprodutttrice la storia interessa poco, altrettanto noi non sottilizziamo se i ‘numeri’ della coreografia sono stati spostati da una parte all’altra o se accanto al più puro Petipa, si affianca una pas de deux neoclassico con i tipici lift sovietici della stessa Holmes ( nel duetto d’amore di Medora e Conrad nella grotta).

Come dicevamo la Scala oggi può farsi vanto di brillare in un titolo così. Perché la compagnia ha davvero brillato, fin dai piccolini della scuola che hanno arricchito la danza di ghirlande del famoso Jardin Animé, per arrivare a ‘caratteristi’ di lusso come il pascià di Riccardo Massimi. Il cast da noi visto aveva la sua punta di diamante in Martina Arduino, neo prima ballerina poco più che ventenne, che, al di là della smagliantezza tecnica, sorprende sempre più per l’autorevolezza interpretativa e la comunicativa gioia di danzare; accanto a lei, nell’altro ruolo principale femminile la bionda e brava Virna Toppi, anch’essa neo prima ballerina, regala a Gulnare gaio piglio virtuosistico. L’ampio reparto maschile ha dato spolvero al virile e sicuro Marco Agostino nel ruolo principale, al subdolo e gagliardo mercante di schiavi Nicola del Freo e all’intrigante, ambiguo e svettante Birbantio, fedifrago e malmostoso Federico Fresi.

Menzione a parte, visto l’exploit con cui si è imposto nel mitico ruolo di Alì, cui conferisce salto felpato e soprattutto vorticosi giri pieni di energia, per il giovane Mattia Semperboni, che in questo ruolo è stata una vera e propria rivelazione. E’ questo del resto il miracolo che qualche volta avviene in teatro: la scoperta e la consacrazione di una nuova stella. Nel caso scaligero  oggi ce ne sono diverse da tenere d’occhio. E potrebbero manifestarsi ancor prima se danzassero di più, in più ruoli e spettacoli. E’ una cosa su cui bisogna assolutamente ragionare se si vuole davvero competere con compagnie di balletto internazionali.Come bisogna davvero riflettere sulla politica del caro/biglietti per i balletti scaligeri. Meglio avere la platea mezza vuota con biglietti carissimi invenduti, o un sold out con prezzi ridimensionati? Gli artisti scaligeri meritano oggi sale piene e riconoscenti.

Visto a Milano, Teatro alla Scala 27 aprile 2018

Repliche 9,11,16,17 maggio

foto di apertura e gallery cortesia Scala/Brescia & Amitrano

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