Filippo Dini, ben conscio della lezione di Massimo Castri, allestisce una sorta di danza macabra alla ricerca di una verità che non esiste e che forse non può esistere perché rischia di essere vergognosa. Esibendo un certo gusto per l’esagerazione che fa il suo effetto – Maria Grazia Gregori
Si respira un’aria concentrazionaria nella monumentale scena di Così è, (se vi pare) di Pirandello andato in scena al Carignano di Torino. Una casa che non è davvero una casa, ma che spesso ci appare quasi una clinica di disadattati. Fin dall’inizio fra infermiere e un cameriere che si muove con gesti inconsulti e inservienti che lavano uno dei personaggi chiave della vicenda, Lamberto Laudisi, per la toeletta del mattino prima di farlo sedere su di una sedia a rotelle, quest’aria, direi quest’odore di malattia, ci pare quasi di respirarla. Del testo stando a guardare e a sentire quello che dicono i personaggi, come si affollano, che cosa li inquieta e li fa correre di qua e di là presi da un’irresistibile ansia psicomotoria, mi pare che sia questo il clima nel quale il regista Filippo Dini ha voluto immergere lo spettacolo.
Qui tutti i personaggi, chi più o chi meno, fanno vibrare la loro corda pazza, dalle pettegole signore borghesi agli uomini, a cominciare dal consigliere Agazzi che sono come inchiodati dall’ansia di dare un nome, un perché o di smascherare l’assurdo, per loro, comportamento del signor Ponza, di sua suocera la signora Frola e della figlia di costei arrivati in città dopo che un terribile terremoto ha quasi distrutto del tutto la Marsica. Una famiglia misteriosa, chiusa a riccio nei confronti del mondo di fuori.
Questa volontà d’esclusione non è compresa dalle signore e dai signori, tutti protesi verso una misteriosa verità che man mano che la vicenda va avanti rischia di configurarsi in un quasi incesto familiare. Solo Lamberto Laudisi, dalla poltrona a rotelle in cui siede, cerca di frenare la curiosità per molti aspetti crudele degli altri, salvo rassegnarsi, talvolta. Del resto anche lui è imbrigliato in questa follia collettiva, anche lui sembra prigioniero di un male oscuro perché quando la tensione si fa quasi insopportabile si dimentica di non potere (o di non volere) più camminare e si alza con impeto quasi a voler fuggire a quella vera e propria camera della tortura in cui la casa del cognato, dove vive, si è andata trasformando. Difficile dirimere la verità, se la pazza sia la suocera di Ponza, costretto per troppa pietà verso di lei dopo la morte della moglie ed essersi risposato con un’altra donna costringendola a fingere di essere la morta, o se invece la verità sia quella della signora Frola che accusa il genero di essere talmente geloso della moglie da impedirle di vedere chiunque, compresa la propria madre. Pazzo lui o pazza la suocera? In questa vera a propria casa di matti in cui si è andata trasformando l’abitazione del consigliere Agazzi sembrerebbe che il più saggio sia Laudisi, uomo pirandelliano più che mai, pronto a porsi domande senza darsi risposte, pronto a ribaltare la verità, modernamente certo che sia impossibile conoscerla davvero.
Per Pirandello è l’uomo del dubbio ma lo è anche per il regista che, guardando al massimo regista pirandelliano del teatro italiano, Massimo Castri, più volte da lui citato, è anche il personaggio che rappresenta l’anima inquieta della modernità per cui certo, se vi pare, si può anche essere sconfitti ma si continua a cercare qualcosa che vada al di là della pura, fanatica curiosità per lasciare il posto all’inquietudine della propria coscienza.
Filippo Dini, che appunto tiene per sé il ruolo di Laudisi, il quale è, anche per Pirandello, in quella tempesta fra curiosità e follia che anima i personaggi, il raisonneur, in certo qual modo il regista, ha messo in scena questo balletto pazzo e funereo alla ricerca di una verità che non esiste e che forse non può esistere perché rischia di essere vergognosa, con un certo gusto per l’esagerazione (per esempio nelle già citate scene di sfondo quasi a fare da contrappeso al mare di parole che dicono i personaggi) una specie di danza macabra che fa il suo effetto. Buoni gli interpreti, fra i quali spiccano la signora Frola di Maria Paiato, molto ben registrata nelle scene madri e pienamente aderente al suo personaggio, e l’interpretazione di Giuseppe Battiston, in un ruolo desueto rispetto ai suoi personaggi, che ha saputo trovare la chiave di una dolorosa esistenza nella vita del signor Ponza. Per finzione o per realtà non lo sapremo mai. Così è (se vi pare).
Visto al Teatro Carignano di Torino. In scena fino al 6 gennaio 2019. Foto Bepi Caroli
Dic182018