foto di Gianluca Munari

In Arena Muti festeggia i 150 anni di Aida

L’Italia dei teatri e dei festival si sta ridestando. E noi torniamo sommessamente a raccontare ciò che vediamo e ascoltiamo. Sono stati mesi difficili e per noi di delteatro.it particolarmente dolorosi. Ma ripartiamo con quella positività fattiva che Maria Grazia non ha mai smesso di trasmettere a chi ha avuto la fortuna di conoscere anche solo la sua scrittura. E si ricomincia con l’Arena. E con il Maestro. – Davide Annachini

Nella fiduciosa riapertura a nuova vita dei teatri lirici, la Fondazione Arena di Verona non poteva ripartire in maniera migliore, con un’Aida commemorativa per i 150 anni dell’opera che vedeva il ritorno dopo un quarantennio di Riccardo Muti al festival areniano per un’esecuzione in forma di concerto. E’ stata un’occasione unica non solo per la presenza di lusso del Maestro ma soprattutto per l’affascinante rilettura di uno dei suoi prediletti titoli verdiani, in grado di rivelarci un interprete profondamente nuovo – com’è già successo per il suo visionario Macbeth – rispetto agli anni giovanili e alle sue celeberrime incisioni. La volontà di creare un’occasione di pura musica nel tempio del kolossal scenografico, dove storicamente Aida ha trovato la sua residenza popolare, ha permesso di focalizzare l’attenzione su un’esecuzione estremamente filtrata nei particolari, inedita nelle intenzioni espressive e di ineffabile poesia.

Sfrondata dai trionfalismi a effetto e dall’enfasi grandoperistica, quella proposta da Muti è stata un’Aida insolitamente arcana e misteriosa, dalle sonorità sapientemente dosate e dai colori melanconici, in cui il conflitto privato dei protagonisti è venuto allo scoperto rispetto a quello politico di una civiltà egizia ieratica e implacabile, in cui l’amore è destinato a soccombere e a trionfare solo nella morte. E questo inevitabile destino che sembra perseguitare i protagonisti del triangolo sentimentale Aida-Radames-Amneris ha costituito il fil rouge di tutta l’esecuzione, in cui gli infiniti particolari ci hanno rivelato un’Aida illuminante e mai ascoltata prima. Come nella sottolineatura del tremolo degli archi all’attacco di “Celeste Aida” – che ci ha evocato quelli argentei del Lohengrin, quasi in un ipotetico collegamento alla famosa esecuzione bolognese ascoltata da Verdi proprio in quel 1871 -, come nell’incanto dei “Cieli azzurri”, trasformati in una sorta di preghiera esotica, come nei ballabili, eseguiti tutti in punta di piuma, come nella sorvegliata architettura della scena del trionfo, misurata negli squilli e inesorabile nella sua indifferenza al dolore dei vinti e ai contrasti sentimentali dei protagonisti.

Sul piano esecutivo Muti è riuscito ad ottenere il meglio dall’Orchestra e dal Coro areniani (quest’ultimo preparato da Vito Lombardi) e ha inciso come sempre sulla compagnia di canto, soprattutto nell’attenzione per la chiarezza della parola e nel rispetto dei colori richiesti dalla partitura, compresi i proibitivi pianissimi in acuto per soprano e tenore. In questo senso si giustificava la scelta di due voci più liriche che drammatiche per Aida e Radames, l’una Eleonora Buratto – soprano forse troppo velocemente proiettata verso il repertorio spinto, ma in grado di assicurare dolcezza, morbidezza e sentimento ad una protagonista toccante e lunare – l’altro il tenore azero Azer Zada – Radames di perfetta dizione e di canto sfumato, dalla voce di bell’impasto ma non ancora completamente a fuoco sugli acuti -, una coppia ideale per rispondere a questa lettura fortemente intimista. Voce tra le più sontuose di mezzosoprano in circolazione, Anita Rachvelishvili è sta un’Amneris imperiosa e sensuale, capace di imporsi per personalità vocale al di là di qualche affaticamento sugli acuti, dovuto anche all’evidente stato di gravidanza che l’aveva obbligata ad un improvviso forfait alla recita inaugurale. Un po’ in ombra il versante delle voci gravi, con l’Amonasro discontinuo di Ambrogio Maestri, il Ramfis austero di Riccardo Zanellato e il Re autorevole di Michele Pertusi, cui si affiancavano il messaggero di Riccardo Rados e l’ottima sacerdotessa di Benedetta Torre.

E anche senza scene – sostituite da quelle video a cura di D-Wok – questa Aida si è imposta come una delle memorabili nella storia dell’Arena, in cui la musica ha trionfato nel nome di Verdi, con un’attenzione e una risposta entusiasta da parte del pubblico davvero inusuali per l’anfiteatro veronese