Si torna a pensare alla danza e ai suoi casi, dopo mesi difficili e dolorosi. Ma torna impellente il desiderio di condividere pensieri e riflessioni su un’arte che continua a stimolare, sia a livello umano che ‘politico’ – Silvia Poletti
È passato molto tempo e sono successe molte cose dall’ultima volta che ho pubblicato un pezzo sul nostro delteatro.it. Oltre al resto, la scomparsa di Maria Grazia Gregori e Renato Palazzi, le colonne del nostro amato rifugio di pensieri e di visioni, ci ha inevitabilmente sopraffatto. Che fare? Con Enzo Fragassi ci siamo interrogati molto sul futuro di questo spazio. Abbiamo delle idee, anche per mantenere vivo il pensiero e la lezione di scrittura critica di entrambi. E magari continuare a discorrere di opera – con Davide Annachini – e di danza, esercitando l’uso della riflessione e della mediazione ovvero della comunicazione-con chi ci legge.
In questo lungo lasso di tempo sono successe molte cose, come si sa. Circoscrivendo lo sguardo ai casi della danza, nel macro-mondo spicca il dramma della nuova cortina calata a causa del tragico conflitto russo-ucraino. In pochi giorni sono stati spazzati via trent’anni di meravigliosi scambi e aperture. Nel ‘piccolo’ mondo della danza sono state molte le ripercussioni. Due ci hanno colpito in particolar modo. Jacopo Tissi era stato nominato solo due mesi primo dello scoppio del conflitto ‘primo ballerino’ del Teatro Bolshoi. Lasciata la Scala per seguire il direttore Makhar Vaziev a Mosca, il talentuoso danzatore pavese in cinque anni scarsi aveva raggiunto l’apice del balletto russo, e -di riflesso- della scena internazionale. Allo scoppio del conflitto, nell’arco di pochi giorni Tissi ha dovuto lasciare tutto -il suo amato maestro, la compagnia di stelle in cui brillava, il repertorio imponente da interpretare – per reinventarsi letteralmente, e trovare sé stesso di nuovo. Le sirene italiane sono molte: operazioni da mercato di massa, sfruttando popolarità e avvenenza del danzatore, sulla stregua di ben noti precedenti. L’attività free-lance, da una compagnia all’altra- uno Schiaccianoci qui, una Giselle là- che diventano routine e non aiutano a maturare l’artisticità. Il rischio insomma è vanificare un meraviglioso talento e il patrimonio acquisito negli anni russi. Il Teatro alla Scala, dal quale Jacopo partì a vent’anni, ha prontamente fissato la sua presenza per alcuni spettacoli della stagione ormai finita e soprattutto per la prossima dove sarà ‘guest’ di una compagnia sempre più smagliante. Preludio a un rapporto più stabile? Quali scelte farà insomma Tissi?
Olga Smirnova non ha avuto dubbi, né esitazioni. Allo scoppio del conflitto, sfruttando l’essere casualmente fuori dal suo paese, la celebre stella pietroburghese in forza al Bolshoi ha deciso di non tornare a Mosca, rigettando pubblicamente la posizione bellicosa del suo Paese e in pochi giorni è stata accolta come étoile al Dutch National Ballet di Amsterdam. Olga ha fatto una scelta di coscienza e insieme artistica. Coraggio? Determinazione? Certo di fronte a sé aveva la consapevolezza che l’isolamento della Russia le avrebbe precluso d’ora in poi quegli incontri creativi unici che l’hanno rivelata come donna e artista al di là dei clichés accademici. Due autori europei ne avevano già intuito la forza di carattere e l’indipendenza di pensiero e l’avevano messa in evidenza in alcune loro creazioni: John Neumeier in Anna Karenina e Jean Christophe Maillot in La Mégere apprivoisée e La Belle. Ora Olga avrà modo di approfondire ancora di più questi aspetti della sua arte, tornando a collaborare con loro e con altri. Ma i suoi inconfondibili occhi, dalla squisita forma ovale, che ho avuto modo di incrociare recentemente sono attraversati da un velo di malinconia, dalla consapevolezza di una innocenza (nella quale gli artisti russi degli ultimi trent’anni hanno vissuto) che è ormai perduta.
Strano ma vero nell’Italia trans-epidemica – ma alle prese (crisi permettendo) con gli ultimi step della nuova Legge delega per il riordino dello Spettacolo– c’è stata una improvvisa resipiscenza ministeriale nei confronti della danza nazionale, colpita negli anni da varie iatture (eliminazione dei corpi di ballo stabili in primis). Di pochi mesi fa infatti la nascita, nientemeno, di un tavolo ministeriale permanente sui problemi della danza. Evviva! Eppure dopo una prima euforia, è prevalsa la sensazione di un gattopardismo di ritorno (tutto cambia etc etc). E’ la formazione del tavolo stesso ( anzi due – uno per la produzione, uno per la formazione) che ce lo fa sospettare.
Presieduto da Roberto Giovanardi, scafato manager di lunghissimo corso tra Aterballetto delle origini, l’Ater, e chi più ne ha, il tavolo di interlocutori vede un range che va da Bolle e la Ferri ai direttori degli ultimi quattro corpi di ballo stabili, ma anche il preside del liceo coreutico di Torino , il presidente della Federazione della Danza Sportiva e i responsabili delle diverse reti della danza contemporanea e delle compagnie indipendenti, oltre a quelle Agis e alcuni grandi vecchi come Amodio, Liliana Cosi e l’ex produttrice televisiva Vittoria Cappelli. E ancora il motivato gruppo di danzatori riuniti sotto la sigla Danza Error System e il nostro coreografo più noto, Mauro Bigonzetti, e poi il neonato Centro Coreografico Nazionale e consulenti ministeriali vari. Riusciranno i nostri eroi a tracciare una sintesi praticabile e indicare vie di sviluppo reali per un organico sistema danza nazionale? Il problema infatti è sempre questo. L’organicità di un ecosistema, nel quale tutte le espressioni devono esistere per una pluralità di visioni, linguaggi, conoscenze e scambi. Naturalmente, tendenza ormai consolidata da alcuni anni, la discussione resta nel conclave dei professionisti del settore che ( immaginiamo) tireranno ciascuno l’acqua al proprio mulino, confondendo ancor più le acque a chi deve recare in porto la nave affidatagli dal Ministro. A meno che la bussola del nocchiero non sia già fissata in direzione ‘compagnia di giro nazionale’. Vedremo nei prossimi mesi.