Milena Costanzo e Gianluca De Col concludono il loro lungo lavoro sull’inquieta poetessa americana mettendo a punto una convincente tecnica interpretativa che consente di affrontarne l’opera prendendola come dall’esterno, facendola decantare da qualunque intento di immedesimazione – Renato Palazzi
Anne Sexton Cleaning the house è lo spettacolo che conclude il percorso di ricerca che Milena Costanzo e Gianluca De Col hanno condotto, attraverso tre successivi “studi” preparatori, sull’inquieta figura e la tormentata opera della poetessa americana Anne Sexton, la «casalinga matta divenuta una star» – come la definì la sua biografa Diane Middlebrook – morta suicida nel 1974. È il compimento di un progetto, non un’ulteriore tappa evolutiva rispetto ad esso, né una qualche sorta di riassunto delle puntate precedenti: mette più direttamente a fuoco la vicenda pubblica e privata della Sexton, precisa e affina uno stile, un linguaggio, ma utilizza sostanzialmente gli strumenti evidenziati fino a oggi, li porta a un risultato definitivo, benché niente affatto “chiuso” e strutturato.
Di fronte a un’autrice alcolizzata e schiava degli psicofarmaci, che da ragazza ha subito maltrattamenti e forse molestie dal padre, che ha avuto rapporti morbosi con una zia, che si è messa a scrivere su indicazione dello psichiatra, per sfuggire a una crisi depressiva, che ha cambiato senza sosta amanti maschi e femmine, compresa la psicanalista che l’aveva in cura, e che tutto questo lo ha riversato in versi bellissimi e schizofrenici, il rischio di cadere nel cliché – parente stretto del melodramma – era davvero alto. Per questo la Costanzo e De Col hanno soprattutto cercato una via per accostarvisi prendendone al tempo stesso le distanze, facendo mostra di parlare di tutt’altro, della propria infanzia, dei propri gusti musicali, lasciando la Sexton come in secondo piano.
La scelta di un approccio anomalo, trasversale, alla complessa personalità di questa artista acclamata e disperata – seppure applicato in modo del tutto diverso – si rivela felice soprattutto in questo lavoro finale, dove invece si torna a parlare apertamente della Sexton, dei suoi turbamenti, dei suoi eccessi, e dove lo spaccato esistenziale si intreccia strettamente coi suoi testi poetici, usati qui a piene mani, ma sotto certi aspetti non propriamente recitati, detti informalmente, in un tono quasi casuale. Restano alcuni frammenti di ricordi e di pensieri dei due attori, come il brano della zia veneta di De Col, o quello sui complotti della Costanzo, ma si confondono con gli scritti della Sexton, non si capisce più dove finiscano gli uni e dove comincino gli altri.
Rispetto ai precedenti “studi”, in cui sedevano per lo più dietro un tavolo, in Cleaning the house entra anche un embrione di azione, che consiste principalmente in un incessante bere di lei, dalla bottiglia, dal bicchiere, e nel versarsi gocce di sonnifero, il sonnifero con cui la Sexton aveva tentato ripetutamente di uccidersi, prima di ricorrere ai gas di scarico dell’auto. Lui va e viene dal fondo della scena portando oggetti, un barattolo di zuppa Campbell’s di warholiana memoria, dei guanti gialli, un paio di scarpe rosse coi tacchi alti, e canta una versione distorta di My way. Di tanto in tanto i due ballano, appare anche una torta, emblema del contrasto fra le aspirazioni domestiche della donna e i suoi fantasmi interiori. La Sexton, non a caso, sognava un futuro fra la cucina e la cameretta dei bambini. «Ma non si possono costruire piccoli recinti bianchi per tenere fuori gli incubi».
La truce allegria, l’apparente cinismo di queste composizioni – tratte specialmente dalla raccolta Il tremendo remare verso Dio edalle terribili fiabesadiche Transformations – non possono nascondere l’intimo strazio che le attraversa, e il forte impulso autodistruttivo da cui sono ispirate. «Voglio versare benzina sul mio corpo di male e dargli fuoco», affermava lei rivolgendosi a un ipotetico prete nello squassante È vero?. «Non fidatevi di chi sorride troppo – ammoniva – e di chi sorride troppo poco, di chi parla troppo o troppo poco. Non fidatevi di conoscenti, amici e nemmeno di parenti cari, ma soprattutto…vi consiglio di osservare bene nel luogo più oscuro, in quel pozzo di S. Patrizio che è la vostra psiche, osservate dentro voi stessi…».
Ma il punto centrale di questa proposta, la sua conquista più durevole suggestiva è, a mio avviso, la scoperta di un metodo – di una tecnica interpretativa, si potrebbe dire – che consente di affrontare la poesia prendendola come dall’esterno, facendola accuratamente decantare da qualunque intento di immedesimazione. Dopo essersi a lungo abituati a evocare la Sexton raccontando se stessi, e a esser se stessi evocando la Sexton, i bravissimi Costanzo e De Col – esemplari incarnazioni dell’attore moderno – hanno a tal punto assimilato il procedimento che riescono ora a servirsi delle parole dell’autrice come se ancora esprimessero i loro punti di vista. E questa appropriazione conferisce ai testi una leggerezza, una verità che in altra chiave non sarebbe probabilmente raggiungibile, o comunque non risalterebbe con tanta efficacia.
Visto al Teatro i di Milano. Repliche fino al 10 marzo 2014
Anne Sexton Cleaning the house
regia: Milena Costanzo
con: Milena Costanzo, Gianluca De Col
adattamento e creazione testi: Milena Costanzo e Gianluca De Col
traduzioni: Milena Costanzo
costumi: Nicolò Emiliano Umattino
luci: Mario Loprevite