Silence encombrant

“Silence encombrant” di Kumulus

La compagnia di teatro di strada francese ha regalato al pubblico di Teatro a Corte una performance rigorosa di rara intensità emotiva. Senza dire una parola, sopra una partitura di suoni e rumori sgradevoli, riaffiora malgrado tutto il sentimento di un’umanità perdutaEnzo Fragassi

Chi sono, anzi cosa sono? Cosa fanno, dove vanno? Viene dal teatro di strada una delle proposte più intriganti del recente festival piemontese Teatro a Corte, svoltosi per tre fine settimana al Teatro Astra di Torino e nelle splendide ex residenze dei Savoia, dalla Reggia di Venaria ai castelli di Rivoli e Aglié. Curioso è anche il contrasto fra la tipologia di teatro praticata dalla compagnia francese Kumulus, fondata da Barthélemy Bompard nel 1986, e la maestosa pretenziosità dei luoghi. In realtà, la performance intitolata Silence encombrant (Silenzio ingombrante), è stata allestita in un semplice spiazzo all’esterno del Castello di Rivoli, dove il pubblico è stato invitato da due inservienti in tuta verde da netturbino a disporsi a semicerchio attorno a un polveroso container aperto sul lato superiore, di quelli utilizzati per raccogliere i rifiuti. Sileziosamente e senza preavviso, le porte del container si sono poi spalancate, lasciando tracimare sul selciato ogni sorta di rifiuto ingombrante: bidoni, grossi tubi di ferro, segnali stradali, carrozzine, armadi, catene, il cofano di un’autovettura, materiale elettrico e contenitori metallici di varia foggia.
Nel ciarpame, indistinguibili all’inizio, si trovano anche gli attori-performer della compagnia, vestiti di stracci e truccati come zombie. Senza dire una parola, ma eseguendo una precisa partitura sonora ottenuta mediante trascinamento, sbattimento, percussione degli stessi oggetti di cui sembrano far parte, le nove figure dantesche cominciano ad occupare lo spazio, insinuandosi con inusitata lentezza fra il pubblico, colto di sorpresa tra l’attonito e il divertito. Senza rispetto, senza pudore, senza parole, ci costringono ai lati dell’improvvisata scena, obbligandoci a lasciare spazio ai veri protagonisti della situazione: i rifiuti, gli scarti, compresi loro, gli “zombie”, che sono forse trapassati, forse solo poveri clochard senza dimora, forse l’una cosa e l’altra insieme.

La spiazzante performance, che dura circa un’ora e mezzo, si potrebbe riassumere tutta in questo incessante e muto andirivieni dal container e verso il container, in questo baccano orchestrato, nell’occupazione dello spazio pubblico da parte di ciò che noi stessi abbiamo in precedenza destinato alla scomparsa, all’oblio. Ciò che tuttavia rende eccezionale e a tratti davvero straziante la performance sono i piccoli gesti, gli ingenui e appena abbozzati tentativi di interazione dei personaggi fra loro e con il pubblico, il riaffiorare, malgrado il contesto alienante, di un simulacro di vita vissuta, memoria del calore domestico e familiare perduto, insopprimibile nostalgia di un passato affettivo fatto di giochi, amori, rapporti, maternità.

Sono una classe morta kantoriana diventata adulta e poi invecchiata, quella che sfila sotto i nostri occhi, rapita, come ipnotizzata, dalla catasta immane degli objet trouvé di cui ormai fa indissolubilmente parte, condannata alla solitudine del possesso consumistico, incapace di ricreare una rete di rapporti affettivi con i propri simili. Non sgorga acqua fresca dalle innumerevoli bottiglie di plastica che un personaggio femminile porta insistentemente alla bocca; non si accende la festa davanti allo scheletro di un albero di Natale addobbato con tristi decorazioni; non provoca carezze l’ebete bambina invecchiata che aziona instancabile un consunto carillon e porge le sue bambole rotte a mani che non le sanno cullare; partorisce solo stracci e buste di plastica colei che indossa un abito nuziale sdrucito, pavoneggiandosi di un pancione fatto di scarti.

Senza dire una parola o emettere un verso, infine, la schiera si spoglia degli stracci che indossava, rivelando sessi posticci, e si avvia dove? Verso l’uscita, il paradiso, l’inferno? Non sappiamo, non sapremo mai.

Visto al festival Teatro a Corte di Torino. Visita il sito (in francese, inglese, spagnolo) di Kumulus. Foto ©Lorenzo Passoni

Silence encombrant
di Barthélemy Bompard
messa in scena di Barthélemy Bompard e Nicolas Quilliard
con Dominique Bettenfeld, Barthélemy Bompard, Jean-Pierre Charron, Céline Damiron, Marie-Pascale Grenier, Dominique Moysan, Nina Sérusier, Nicolas Quilliard & Judith Thiébaut
movimenti sceniciJudith Thiébaut
suono Jean-Pierre Charron
costumi Marie-Cécile Winling, Catherine Sardi
scena Dominique Moysan
trucco Marie-Cécile Winling ou Catherine Sardi
assistenza tecnica Djamel Djerboua & Simon Lambert-Bilinski