Il Rossini Opera Festival ha rappresentato negli ultimi trentacinque anni una delle manifestazioni più prestigiose dell’estate italiana: ha recuperato dall’oblio capolavori impensabili, ha lanciato voci destinate alla gloria, ha proposto spettacoli di memorabile bellezza. Anche in un periodo di crisi come questo dimostra di cadere sempre in piedi, nonostante gli sforzi si avvertano e nonostante il confronto con il suo passato sia sempre in agguato – Duccio Anselmi
Quest’anno il Rossini Opera Festival ha puntato principalmente su due titoli di grande impegno, Armida – capolavoro della produzione napoletana di Rossini, scritto per un’eccelsa primadonna come sua moglie, Isabella Colbran – e Aureliano in Palmira – opera più giovanile, mai rappresentata prima al ROF – insieme ad un’edizione del Barbiere di Siviglia in forma semiscenica. Protagonisti nei primi due casi non sono stati tanto i cantanti quanto i registi, Luca Ronconi e Mario Martone, che tornavano a Pesaro con il ricordo di messinscene indimenticabili.
Ronconi proprio con Armida aveva firmato una ventina di anni fa una delle sue più felici regie rossiniane, trasformando i crociati della Gerusalemme liberata in una sorte di Legione straniera, sedotta da una vampissima maga biondo platino ispirata a Mae West. In questa sua nuova rilettura dell’opera è rimasta l’ironia, nel tradurre con un candore di favola i guerrieri cristiani in una schiera di pupi siciliani, le forze del male in sinistri diavolacci, le seduzioni d’amore in un Cupido con tanto di riccioli biondi e faretra.
Su tutti un’Armida elegantissima e inquietante come un uccello notturno, fasciata negli abiti bellissimi di Giovanna Buzzi dalle lunghe penne iridescenti. Sobrio e tenebroso l’allestimento di Margherita Palli, dalle linee essenziali e privo di tutte quelle macchine teatrali che storicamente hanno caratterizzato la fastosa spettacolarità ronconiana. Spettacolarità che è venuta meno in alcuni punti decisivi dell’opera – la trasformazione dell’orrida foresta nella reggia d’Amore e soprattutto il travolgente, demoniaco finale – in cui la fantasia del regista è sembrata appannarsi, limitandosi a soluzioni di ripiego, forse dettate anche da una forzata economia dei mezzi. E di certo non sono venute in suo aiuto le censurabili coreografie di Michele Abbondanza, apparentemente scoordinate e caotiche, che hanno gravato su buona parte del secondo atto.
E’ stata però soprattutto la componente musicale a prestare il fianco a critiche, che si sono manifestate nel successo finale con i dissensi di una parte del pubblico, rivolti soprattutto alla protagonista Carmen Romeu. In una parte dalle terribili esigenze virtuosistiche e interpretative, riesumata nel 1952 da una Callas in stato di grazia e ripresa da pochissime fuoriclasse, il giovane soprano spagnolo ha fatto valere una coloratura precisa, un timbro non privo di suggestione, un’elegante presenza scenica, ma d’altro lato l’estensione vocale, le richieste drammatiche e la forte personalità del ruolo l’hanno sovrastata. Di conseguenza è sembrato lecito chiedersi se non sarebbe stato più opportuno rimandare il recupero di un’opera che vive soprattutto sulla primadonna, anche perché per il resto il fronte tenorile di certo non brillava, con il Rinaldo apprezzabile ma alquanto stentoreo di Antonino Siragusa, il forzato Dmitry Korchak nei ruoli di Gernando e Carlo, il volonteroso Randall Bills in quelli di Goffredo e Ubaldo, come d’ altronde anche la direzione di Carlo Rizzi, tendenzialmente pesante e povera di colori, nonostante la ricchezza e la varietà climatica offerte della partitura rossiniana.
Decisamente meglio è andata con Aureliano in Palmira, opera di sicuro meno attraente e risolta, di cui è stata proposta una versione – in mancanza dell’autografo originale – estesa a tutti i brani ritrovati ed eseguiti nelle diverse edizioni teatrali ottocentesche. Per quanto drammaturgicamente debole e poco credibile, Aureliano offre pagine di grande responsabilità vocale agli interpreti, che in questo caso rispondevano alle richieste della parte.
Ottimo protagonista nelle vesti dell’imperatore romano è stato Michael Spyres, uno di quei tenori americani che hanno tenuto in vita il repertorio rossiniano più ostico, assolvendo come in questo caso una parte che spazia dal registro di baritono a quello acutissimo di tenore con un controllo dell’emissione e un’autorità interpretativa ammirevoli.
Lo stesso dicasi per la Zenobia di Jessica Pratt, soprano dalla linea di canto immacolata, dalla vocalità purissima e vibrante, dagli acuti cristallini e siderali, che ancora una volta ha dimostrato di essere una fuoriclasse affidabilissima per i ruoli più acrobatici e impervi del belcanto. Nella parte di Arsace, principe persiano sconfitto dai romani, la scelta non è caduta su un controtenore – in memoria del primo interprete, il leggendario castrato Velluti – ma su un mezzosoprano en travesti, Lena Belkina, altra giovane scritturata dal ROF per una parte di grande responsabilità. Il mezzosoprano dell’Est ha rivelato sotto una comprensibile cautela un timbro di bel colore e una buona rispondenza virtuosistica, anche se non ancora supportate da un fraseggio incisivo e da un’autorevolezza di autentica protagonista, che potranno comunque rivelarsi col tempo.
La direzione di Will Crutchfield, responsabile anche dell’edizione critica, si è segnalata per l’estrema cura e misura – forse fin troppo, vista la particolare lentezza dei tempi – ed è sembrata soprattutto attenta a tingere di una patina tragica quei brani, come la Sinfonia, che Rossini avrebbe più tardi trasportato in chiave brillante nel Barbiere di Siviglia.
La regia di Mario Martone si è imposta per sobrietà e coerenza, nel restituire, grazie al minimalismo delle scene di Sergio Tramonti e al colorismo orientale dei costumi di Ursula Patzak, un mondo arcadico e poetico, fatto di atmosfere sabbiose e pastellate quanto di suggestioni bucoliche e nostalgiche, cercando di rendere plausibile una storia che si regge a fatica e siglando lo sbrigativo lieto fine con una citazione riferita agli inesauribili conflitti mediorientali che continuano ad insanguinare quelle terre, oggi come allora.
Il successo unanime di questa produzione è stato preceduto da quello calorosissimo del Barbiere di Siviglia, che se sulla carta poteva presentarsi come un’edizione utilité, vista l’assenza di un autentico allestimento e di un regista responsabile, in realtà si è rivelato un’operazione riuscita e godibilissima.
Merito soprattutto di un cast perfettamente azzeccato in cui brillava il giovanissimo Figaro di Florian Sempey, baritono francese dalla voce sonora e timbrata come dalla comunicativa accattivante. Lo stesso dicasi per Chiara Amarù, una Rosina di intenso colore mezzosopranile, dalle colorature scorrevoli e dalla spontanea simpatia, affiancata dall’Almaviva di Juan Francisco Gatell, tenore di timbro forse non privilegiato ma di classe e statura interpretativa ammirevoli.
Autentici mattatori sono stati poi Paolo Bordogna, un Bartolo in quest’occasione di grande sobrietà comica e ottima rispondenza vocale, e Alex Esposito, un Basilio di suggestiva vocalità e felice caratterizzazione interpretativa. La sua “Calunnia”, recitata come una subdola, viscidissima confessione sacerdotale, è stata uno dei momenti più felici di questa esecuzione, in cui è risultata difficilmente credibile l’assenza di una collaudata mano registica alla guida degli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Urbino, responsabili nominali di questo allestimento nella sua globalità.
Da segnalare per finire il contributo di un altro giovane, il direttore Giacomo Sagripanti, interprete brillante e personale che ha siglato con freschezza e dinamismo l’esecuzione di questo Barbiere, facendo suonare con altro smalto l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna rispetto all’Armida, come anche rispetto all’Orchestra Sinfonica G. Rossini, impegnata nell’Aureliano.
Visti a Rossini Opera Festival, Pesaro, 10-11-12 agosto 2014
ARMIDA
Libretto di Giovanni Schmidt
Musica di Gioachino Rossini
Armida Carmen Romeu
Rinaldo Antonino Siragusa
Goffredo/Ubaldo Randall Bills
Gernado/Carlo Dmitry Korchak
Idraote/Astarotte Carlo Lepore
Direttore Carlo Rizzi
Regia Luca Ronconi
Scene Margherita Palli
Costumi Giovanna Buzzi
Coreografie Michele Abbondanza
Progetto luci A.J. Weissbard
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Compagnia di danza Abbondanza/Bertoni
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Libretto di Cesare Sterbini
Musica di Gioachino Rossini
Figaro Florian Sempey
Il Conte d’Almaviva Juan Francisco Gatell
Rosina Chiara Amarù
Don Bartolo Paolo Bordogna
Don Basilio Alex Esposito
Berta Felicia Bongiovanni
Direttore Giacomo Sagripanti
Ideazione, progettazione,
elementi scenici,movimenti di regia,
video, costumi Accademia di Belle Arti di Urbino
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Coro San Carlo di Pesaro
AURELIANO IN PALMIRA
Libretto di Felice Romani
Musica di Gioachino Rossini
Aureliano Michael Spyres
Zenobia Jessica Pratt
Arsace Lena Belkina
Publia Raffaella Lupinacci
Direttore Will Crutchfield
Regia Mario Martone
Scene Sergio Tramonti
Costumi Ursula Patzak
Progetto luci Pasquale Mari
Orchestra Sinfonica G. Rossini
Coro del Teatro Comunale di Bologna
nella foto Carmen Romeau, Armida copy Studio Amati Bacciardi