A tavola con Bosch e Greenaway

Mescolando ingredienti del cinema e dalle arti visive, Chris Haring prepara il piatto perfetto: Deep Dish, uno spettacolo di danza, in prima italiana a Bassano OperaestateAndrea Falcone

A chiudere B-motion danza, la rassegna di quattro giorni dedicata alle più recenti tendenze coreografiche ospitata a Bassano del Grappa, c’è una produzione pubblicizzata anche nel cartellone principale di Operaestate Festival Veneto. La programmazione torna così ad avvicinare agli spettacoli di giovani artisti e compagnie (caratterizzati solitamente dalla brevità e dalla riconducibilità, più o meno diretta, a un contesto di formazione e mobilità condiviso) un lavoro di più ampio respiro.

Deep Dish, questo è il titolo, è l’ultimo di una serie di eventi (tra coreografie, allestimenti e performance site specific) elaborati dal coreografo austriaco Chris Haring, Leone d’oro alla Biennale Danza di Venezia nel 2007, con la compagnia Liquid Loft e l’artista visivo francese Michel Blazy. Il progetto complessivo, intitolato The Perfect Garden, era stato presentato a Operaestate già nel 2012, con un primo esito spettacolare.

Secondo le parole degli autori, Deep Dish è un film coreografico dal vivo. All’arrivo del pubblico, sul palco del Teatro Remondini è allestito un piccolo set cinematografico. Illuminato, al centro, c’è un tavolo apparecchiato. Sulla sua tovaglia bianca, e tutto intorno, si compone pezzo per pezzo la scena di un banchetto. Quattro sono i commensali, tre donne e un uomo; quest’ultimo, armato di telecamera, in un gioco di approssimazioni e allontanamenti, riprende ogni dettaglio della tavolata, fruga fra la frutta e i bicchieri, accarezza, quasi, i volti delle ragazze, le loro braccia, le mani.

Ogni immagine finisce sullo schermo che chiude e incornicia la scena. Il dettaglio, ripreso dalla telecamera, diventa in tempo reale nuovo sfondo della vicenda, trasportandola altrove. C’è un’unità di fondo, dettata dal ritmo, scandito da una goccia che cade continuamente dal soffitto in un calice, puntuale come un metronomo. Ci sono stile coreografico e disegno drammaturgico. Il primo è fatto di gesti rubati alla vita quotidiana, in una partitura fisica serrata, a volte ripetuta e interrotta, come una registrazione rovinata. Il secondo è caratterizzato da una progressiva crescita, nella maturazione delle dinamiche tra i personaggi, nel cambiamento di stato degli oggetti sul tavolo, sempre più numerosi, più sporchi, addirittura decomposti.

In questo flusso, il genio dell’autore e la perizia tecnica dei performer permettono di creare scene diverse e indimenticabili. Il movimento della telecamera ad alta definizione scova dettagli inaspettati: ci mostra la vita che ignoriamo, nell’acqua di un vaso o sul fondo di un bicchiere; attesta la nostra stessa scompostezza, la vorace sensualità di bestie tra le bestie che ci caratterizza. L’autore gioca con le proporzioni delle foglie e dei frutti, ingigantendoli. Ma la natura che prende posto sulla scena, è una natura morta, un prodotto culturale.

Tanti sono i rimandi alle opere d’arte del passato. L’intera serie “The perfect garden” è ispirata all’immaginario del pittore Hieronymus Bosch, in particolare al trittico del “Giardino delle Delizie” esposto a Madrid. Tra abbracci impossibili, animali nascosti e fragole enormi, le scene di Deep Dish offrono una tardiva realizzazione delle visioni del fiammingo. Poi c’è il cinema, che riaffiora nella sua veste più popolare, di fantascienza, nelle atmosfere aliene di alcune riprese, nel gioco che porta il danzatore a un “incredibile rimpicciolimento”. Ma i rimandi più chiari sono al cinema d’autore, quello di Marco Ferreri, Luis Buñuel, Peter Greenaway.

Splendidamente legata al capolavoro di quest’ultimo, “Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante”, lo spettacolo mette in scena una metafora della digestione, rappresentata in tutte le sue fasi, dalla presa del cibo, alla masticazione, fino alla dissoluzione finale. L’ultima visione del banchetto è un gorgo, in cui i resti della cena si disperdono, sfacendosi lentamente. Mentre il vortice gira sullo schermo e la luce cala, la musica, che ha accompagnato l’intera serata, tra rivisitazioni di Handel (“lascia ch’io pianga”) ed elaborazioni live, si spegne, lasciando inchiodati alle sedie gli spettatori.

Ci si chiede: cos’è questa forza che tutto attira? Sarà la vita? La morte? A luce accesa, ogni cosa riprende le dovute proporzioni e tutto appare come un gioco, condotto superbamente da un team artistico d’insolita, quanto piacevole, bravura.

Visto al Teatro Remondini di Bassano del Grappa, nel contesto delle 34° edizione di Operaestate Festival Veneto. Foto © Michael Loizenbauer

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Deep Dish
direzione artistica e coreografia Chris Haring
danzatori Luke Baio, Stephanie Cumming, Katharina Meves, Anna Maria Nowak
set consulting e sculture organiche Michel Blazy
sound design e composizioni Andreas Berger
light e stage design, drammaturgia Thomas Jelinek