Parte dal Cimitero monumentale il progetto site specific del gruppo tedesco, che mediante messaggi in cuffia guida il pubblico alla (ri)scoperta della propria città. Ma è tutt’altro che uno spensierato gioco teatrale: pone domande, suscita pensieri non banali, innesca insospettabili dinamiche relazionali – Renato Palazzi
Antesignani e pionieri di un teatro d’avanguardia basato su una radicale mescolanza di frammenti di realtà con elementi di finzione, i Rimini Protokoll sono un collettivo di tre registi tedeschi che intervengono a creare i loro spettacoli in diverse situazioni, partendo in genere dalle caratteristiche dei luoghi in cui operano e dagli specifici problemi che vi trovano. Non sono, di fatto, un vero gruppo teatrale dotato di un proprio organico di attori, e questo forse spiega in parte la loro scelta di rinunciare a utilizzare degli interpreti professionisti, portando in scena – se così si può dire – delle figure “prese dalla vita”, protagonisti di vicende particolari esposte al pubblico nella loro nuda verità, senza artifici o mediazioni metaforiche.
In questi anni Helgard Haud, Stefan Kaegi e Daniel Wetzel – questi i nomi dei tre – hanno dunque dato via via la parola a ex-dipendenti della Sabena che hanno illustrato il fallimento della compagnia aerea belga, a camionisti dell’Europa dell’est che descrivevano in diretta le traversie dei propri spostamenti lungo le grandi arterie del continente, a operatori di un call-center di Calcutta, a quattro muezzin egiziani che denunciavano la preoccupazione di 30000 loro colleghi, a rischio di essere sostituiti da una sola voce registrata. Ne Il capitale, le trattazioni economiche di Marx venivano analizzate da un gruppo di pittoreschi esperti e studiosi, ma anche da un ex-finanziere condannato per truffa e reduce da qualche anno di prigione.
L’altro e più recente loro filone di ricerca – in linea con analoghe tendenze del panorama teatrale odierno – li porta a mettere il pubblico stesso al centro dell’evento, coinvolgendolo in singolari performance audio-visuali, guidandolo – grazie a indicazioni impartite in cuffia – in spiazzanti percorsi di scoperta o riscoperta del contesto in cui vive. Best before era addirittura una sorta di videogame che invitava a crearsi un “doppio” virtuale, e a compiere per suo tramite una serie di scelte riguardo al lavoro, alla famiglia, alla democrazia. È ovvio che tutto ciò ha ben poco a che fare con un mero atteggiamento ludico, e suggerisce piuttosto un’ipotesi assai attuale di teatro politico, di cui si potrebbero persino porre in luce certe indirette ascendenze brechtiane.
Remote Milano, la performance presentata in questi giorni, è un ingegnoso format che si rivolge a cinquanta persone per volta, impegnate in un itinerario urbano scandito da una voce elettronica trasmessa dagli auricolari di cui ciascuno è fornito. Si parte dal Cimitero Monumentale, si costeggiano le tombe per raggiungere l’uscita: attraversando strade, percorrendo sottopassaggi, il gruppo raggiunge la stazione Garibaldi, si mescola ai viaggiatori, li guarda come fossero i personaggi di uno spettacolo, e diventa a sua volta spettacolo ai loro occhi. Poi si sposta improvvisando una serie di azioni suggerite o imposte dalla voce, passi di danza, camminate a ritroso, fino ad arrivare all’ospedale Fatebenefratelli, dove il tutto, dopo circa un’ora e mezza, si conclude.
La proposta, all’apparenza semplice, è in effetti molto stratificata, e studiata per moltiplicarne i livelli di lettura. Di primo acchito, serve a osservare il proprio territorio quotidiano come vedendolo per la prima volta, come scoprendolo attraverso uno sguardo estraneo, quello degli autori, o addirittura dell’entità virtuale che orienta il viaggio. Ma innesca anche insospettabili dinamiche relazionali, con la voce stessa, che a un certo punto cambia, da suadente interlocutrice femminile diventa imperiosa presenza maschile, o con gli altri membri del gruppo, coi quali si condividono sensazioni e punti di vista. Si reagisce alle situazioni in cui si viene proiettati: trovarsi in un ospedale, a fianco di malati veri, è diverso che entrare in un negozio di articoli sportivi.
Il testo che si ascolta in cuffia, inoltre, non è solo un manuale di istruzioni: pone domande, suscita pensieri non banali. Per quanto si possa prenderne le distanze, non lascia comunque indifferenti. Fa riflettere sulla morte, sulle foto dei defunti, su ciò che resta di noi dopo la nostra fine. Fa riflettere sull’identità, sull’essenza dell’individuo in rapporto alla comunità. A poco a poco lo spostamento fisico diventa un tragitto interiore, la camminata fra edifici e cantieri diventa una discesa in se stessi. Qualche invenzione aguzza lascia il segno. Indicando le statue sulle tombe, ad esempio, l’invisibile guida non perde l’occasione di porre un’inquietante considerazione: «loro sono corpi senza voce – dice – io una voce senza corpo. A chi pensi di assomigliare di più?».
Ricalcato su uno schema già collaudato in altre città, Remote Milano non è uno spensierato gioco teatrale come tante iniziative consimili proposte in questi anni: ha anzi una sua severità un po’ tedesca, non immune probabilmente da un certo retroterra ideologico. Non suscita forti emozioni collettive muovendo le masse in una piazza affollata, come Domini pùblic del catalano Roger Bernat, non inficia la percezione del reale portando a confondere dei normali passanti con le comparse di un’ambigua rappresentazione, come Drive in del gruppo Strasse, ma fa leva su questo saldo apparato intellettuale, trasformandosi in un convincente test antropologico. Diverte anche, ma è pur sempre un divertimento impegnativo e non del tutto rassicurante.
Un’ultima considerazione, per nulla scontata: i Rimini Protokoll sono stati ospitati da vari festival italiani, ma non erano finora mai venuti a Milano: se ci sono arrivati, non è per merito delle grandi istituzioni, ma di una piccola realtà indipendente e certo non ultra-finanziata come Zona K, grazie alla passione e all’intraprendenza delle sue direttrici artistiche, Valentina Kastlunger e Sabrina Sinatti: tutto il proseguimento della sua stagione sarà coerentemente improntato a esperienze del genere, mentre già lo scorso anno aveva fatto conoscere alcuni interessanti nomi nuovi della scena internazionale. Non sono imprese da poco, soprattutto di questi tempi, ed è giusto sottolinearlo.
A Milano, fino al 9 novembre. Prenotazione obbligatoria allo 02.97378443 – cell. 393.8767162 e-mail: biglietti@zonak.it
Rimini Protokoll
Remote Milano
idea, testo e regia: Stefan Kaegi
Co-regia: Jorg Karrenbauer
sound design: Nikolas Neecke
drammaturgia: Juliane Männel, Aljoscha Begrich