Amleto di Collettivo cinetico

Un Amleto cinetico

Francesca Pennini e Collettivo cinetico individuano una via originale per la rilettura del classico scespiriano: con leggerezza, rendono possibile il racconto con mezzi espressivi che vanno dal quiz alla prova di bravura di quattro attori improvvisati. E il pubblico trasformato in giuriaRenato Palazzi


Che Francesca Pennini, trentunenne ferrarese, sia una delle più estrose e originali fra le giovani coreografe italiane era assodato da tempo. La prima espressione del suo ingegno consiste proprio nella scelta di realizzare, al momento, non delle vere coreografie, ma delle bizzarre esperienze a metà fra l’antropologia fantastica, l’happening, l’esperimento da laboratorio, l’indagine comportamentale. Il suo talento atipico la porta anche a operare non con interpreti professionisti ma con adolescenti, performer improvvisati, comuni cittadini. Più che spettacoli compiuti, costruisce dei singolari meccanismi scenici, delle stralunate combinazioni di invenzioni gestuali, schegge di teatro, spezzoni di vita quotidiana.

Se già nell’irresistibile Age, il lavoro che ha imposto all’attenzione il suo Collettivo Cinetico, la Pennini si divertiva a inventare – tra ironia e severo rigore esecutivo – dei surreali esercizi fisici per dare forma concreta a improbabili tipologie umane, nel successivo Cinetico 4.4 metteva a punto addirittura una sorta di sorprendente Monopoli teatrale, un metodo di creazione basato su un gioco da tavolo, con tanto di dadi e carte degli “imprevisti”. E in cosa dunque poteva consistere il suo approccio all’Amleto se non in un talent show, una paradossale competizione fra aspiranti protagonisti del dramma shakespeariano, in gara tra loro davanti a spettatori-giurati chiamati a stabilire chi dovrà «essere o non essere» il principe di Danimarca.

Sembrano trovate estemporanee, ma sono di fatto la sua tecnica e la sua personale strategia di spiazzamento per dilatare il concetto stesso di azione teatrale, per contaminarlo con realtà diverse e apparentemente estranee alle logiche della scena. In questo modo, la Pennini mina alla base tutte le convenzioni rappresentative, le elude, le scavalca,  sperimenta stili e linguaggi che paiono lontanissimi da qualunque finalità espressiva. Devia, divaga, prende vie traverse: ma senza perdere mai di vista la materia dalla quale era partita, cui alla fine ritorna con inesorabile precisione.

Prendiamo, ad esempio, questo folgorante Amleto, nato come breve “studio” lo scorso anno al festival Tfaddal del Teatro Franco Parenti, e portato ora a compimento come proposta a sé stante: l’implacabile voce fuori campo della regista-coreografa – coadiuvata nello spazio della scena da tre silenziose figure maschili, mascherate e a torso nudo – guida una serie di provini fra quattro concorrenti che hanno sul volto dei sacchetti di carta della spesa coi fori per gli occhi. I partecipanti si iscrivono come volontari tempo prima, e ricevono a casa un manuale di istruzioni. Alle loro prestazioni viene attribuito un punteggio che il pubblico stabilisce mediante un applausometro: il vincitore, precisa la voce all’inizio, riceverà «il titolo di Amleto e un premio in denaro».

Lo show, per così dire, si apre – in pieno stile Collettivo Cinetico – con una minuziosa elencazione delle attrezzature impiegate, il materiale di cui è fatto il pavimento, la quantità di luci, il numero dei posti in platea. Poi si passa all’auto-presentazione dei soggetti in gara, che erano, alla replica cui ho assistito, un batterista, un esperto di video, un allievo del secondo anno di scuola superiore e uno studente di lingue che da grande vuol fare l’attore: ma le incalzanti domande che vengono poste loro – ha dei dubbi? Si sente vendicativo o vendicatore? Se sua madre sposasse suo zio, cosa farebbe? – entrano tutte direttamente negli snodi del testo.

E anche le azioni che i quattro, sadicamente diretti dalla voce, devono compiere, spogliandosi via via dei segni esteriori della loro identità di ogni giorno, sono tutte simbolicamente connesse alla trama dell’Amleto: memorizzare e ripetere una sequenza di gesti indicati da Shakespeare nei vari atti della sua opera, morire come morirebbero i personaggi principali della vicenda, Gertrude, Claudio e il principe stesso, recitare in diversi modi il brano di Pirro, quello che declama la compagnia degli attori arrivati alla corte di Elsinore. A ogni turno, un concorrente viene eliminato, e i concorrenti fuori gara restano shakespearianamente stesi a terra in un emblematico accumularsi di cadaveri.

Non manca, infine, neppure l’eterno interrogativo, «essere o non essere»: il vincitore, in un incrocio di suggestioni, di epoche e  stili, avrà anche il privilegio di scegliere fra diverse versioni del monologo più celebre della storia del teatro, pronunciate dalle voci registrate di grandi attori del passato. Così, passo dopo passo, il gioco non tanto coincide con gli avvenimenti del testo, ma ne segue le tracce, li ricalca e si sovrappone ad essi diventandone una sorta di specchio deformante, tutto immerso nella sottocultura televisiva, nelle mode, nei vezzi del nostro tempo, e in quel tanto di intimo, di privato che vi riversano i diversi concorrenti.

Di Amleti, negli anni, ne abbiamo visti in tutte le salse, Amleti anziani, Amleti disabili, Amleti senza Amleto, Amleti a rovescio, che cominciavano dal finale e procedevano spediti verso l’inizio. Nella casistica delle infinite variazioni sul tema del pallido prence e del suo genitore assassinato, questa sfida tra candidati al ruolo occupa però un posto particolare: dietro il pretesto dello spigliato intervento ludico, la Pennini alla fine arriva davvero a ipotizzare una specie di inusitato schema interpretativo. Con la sua innata leggerezza, non ambisce a proporre un nuovo percorso drammaturgico, ma indica certo una possibilità di raccontare con altri mezzi, il quiz, l’intervista, la prova di bravura.

E  forse proprio l’imprevedibile cortocircuito di queste  corrispondenze casuali, di queste allusioni, di queste citazioni sparse ci restituisce un’ inquieta memoria di Amleto, ci induce a interrogarci su ciò che resta di Amleto nello spettatore di oggi.

Visto al Teatro Franco Parenti di Milano. Repliche fino al 30 aprile 2015

Amleto
concept, regia e voce: Francesca Pennini
drammaturgia: Angelo Pedroni, Francesca Pennini
azione e creazione: Carmine Parise, Angelo Pedroni, Stefano Sardi
co-produzione: Collettivo Cinetico e Teatro Franco Parenti