Federico Tiezzi con Fabrizio Sinisi e, in scena, Sandro Lombardi e David Riondino confezionano con “Inferno Novecento” uno spettacolo di grande qualità e acume, che intreccia terzine dantesche e cronaca giornalistica dei nostri tempi – Renato Palazzi
È un’operazione di grande qualità e intelligenza, quella messa in atto da Federico Tiezzi in Inferno Novecento: con la collaborazione drammaturgica di Fabrizio Sinisi, il regista ha accostato alcuni canti dell’Inferno dantesco – da lui già affrontato anni fa in un’autonoma messinscena – a brani di articoli di grandi giornalisti su personaggi emblematici e avvenimenti-chiave della storia o della cronaca del nostro tempo, che richiamino immagini e situazioni della Divina Commedia. In questo modo Tiezzi ottiene un duplice risultato: da un lato “attualizza”, per così dire, il poema, ne porta in luce gli aspetti universali e i legami con la contemporaneità, dall’altro nobilita, attraverso il confronto, queste moderne prose, che raggiungono a volte un alto grado di pathos.
La struttura del copione, affidato alla lucidissima interpretazione di Sandro Lombardi e David Riondino, ha un andamento costante: dapprima viene data lettura dei versi danteschi, e ad essi si allacciano di volta in volta i loro equivalenti giornalistici odierni. Dopo l’ouverture del canto III, «per me si va nella città dolente», che introduce un testo dello stesso Riondino, Il poema dei morti, in cui si evoca una visione quasi gioiosa di alcuni illustri defunti della cultura nazionale, da Fellini alla Masina a Mastroianni, radunati come per un’onirica colazione in campagna, ecco una serie di folgoranti intrecci fra figure del presente e del passato, collegate con una sorta di sorprendente naturalezza, come se le une derivassero dalle altre, ne fossero l’ideale continuazione.
Ecco il canto V, quello di Paolo e Francesca, che rimanda a una celebre coppia dei nostri giorni, Lady Diana e Dodi Al-Fayed, la cui agonia nel tunnel dell’Alma è descritta con accenti commossi da Aldo Cazzullo su “La Stampa”, e poi il Canto XII, dedicato ai tiranni, che fa da premessa all’agghiacciante cronaca, firmata su “Panorama” da Matteo Durante, dell’esecuzione di Saddam Hussein. Il Canto XIII, in cui Dante incontra Pier delle Vigne e gli altri suicidi, prefigura la sorte straziante di Marilyn Monroe, commentata con parole alte dal critico cinematografico del “Corriere” di allora, Giovanni Grazzini, e la tragica fine della guerrigliera cubana Haydée Santamaria, celebrata da Rossana Rossanda sul “Manifesto”.
Il rapporto fra Brunetto Latini e lo stesso Dante, di cui è stato il maestro, trova il suo equivalente nel sodalizio, puntualmente analizzato da Fernanda Pivano, fra Andy Wharol e il suo discepolo Lou Reed, mentre allo scaltro Guido da Montefeltro – che ebbe gran fama nel praticare «li accorgimenti e le coperte vie» – si sovrappone l’inquietante ritratto, firmato da Oriana Fallaci, di un luciferino Giulio Andreotti.
La differenza, persino l’attrito dei due linguaggi, della poesia e dell’informazione, sono scontati ed evidenti, ma – come detto – il più umile lavoro degli articolisti non ne esce affatto schiacciato. In quell’insolito contesto, alcuni di essi rivelano anzi una fortissima temperatura emotiva: nella testimonianza della Fallaci sull’attacco alle Torri Gemelle, nel passaggio dagli orrori famigliari del conte Ugolino al reportage in cui Renzo Guold descrive su “Repubblica” le atroci decapitazioni dei cristiani egiziani da parte dell’Isis vibra una nota solenne, degna quasi del coro di una tragedia classica. E il racconto di Enzo Siciliano dell’assassinio di Pasolini, novello Ulisse, forse il momento più intenso della serata, è uno spaccato di dolore puro, una ferita della coscienza.
Entrambi vestiti di nero, in uno spazio spoglio concepito unicamente per valorizzare la parola, attrezzato solo di una sedia e due leggii, gli attori fanno a gara di bravura. Lombardi sfoggia le sue doti di grande dicitore, Riondino unisce alla recitazione il canto, accompagnandosi con la chitarra. Tendenzialmente, forse il primo si incarica più di scandire le terzine dantesche, e il secondo di attingere ai resoconti giornalistici: ma in realtà i loro apporti sono del tutto intercambiabili, e – sapientemente orchestrati – mostrano uno straordinario affiatamento e una collaudata capacità di combinare insieme le loro voci, le loro personalità, i loro umori.
Lo spettacolo aveva debuttato a fine maggio a Firenze, nel cortile del Palazzo del Bargello, con l’accompagnamento di un trio del Conservatorio Luigi Cherubini. Ora il trio non c’è più, ma il risultato finale non sembra risentirne: la messinscena di Tiezzi è asciutta, sobria, incalzante. L’intera costruzione rivela una rara finezza intellettuale, che non scade mai, però, in un mero esercizio letterario. Anzi, ponendoci di fronte ai nostri miti, inquadrati in una prospettiva senza tempo, ci sottopone a un inatteso rispecchiamento, ci fa scoprire qualcosa di noi stessi.
Visto al festival Inequilibrio di Castiglioncello. Prossime repliche: 12 luglio, Teatro Romano di Nora; 19 luglio, Castello di Scarlino; 23 luglio, Sacro Monte di Varese; 28 luglio, Mulazzo, Castello di Lusuolo; 16 ottobre, Lugano, Sala Grande.
Inferno Novecento
uno spettacolo di Federico Tiezzi
drammaturgia: Fabrizio Sinisi
disegno luci: Gianni Pollini
con: Sandro Lombardi, David Riondino
visto a Castiglioncello, al festival “Inequilibrio”