Che bastardo questo Bull

La pièce di Mike Bartlett, ottimamente diretta da Fabio Cherstich, è ambientata in uno squallido ambiente impiegatizio ridotto ad arena di una lotta senza regole, che provoca sensazioni forti nel pubblicoRenato Palazzi

Più che una pièce basata su una vicenda di senso compiuto, Bulll’interessante testo del trentaseienne autore inglese Mike Bartlett, che Fabio Cherstich ha messo in scena al Teatro Franco Parenti – è una scheggia di ferocia allo stato puro, una serie di round di un’ignota forma di lotta aziendale il cui unico fine è il definitivo annientamento dell’avversario. La trama è semplice, quasi schematica: c’è il potente capoufficio di una non meglio precisata società che, a causa del difficile momento economico, deve liquidare un certo numero di dipendenti, e ci sono due di questi, navigati, sicuri di sé, pronti a qualunque bassezza per raggiungere il loro scopo, che si coalizzano contro un terzo impiegato, brutto, timido, inelegante, decisi a farne la propria vittima sacrificale.

In uno spazio scenico che, giustamente, somiglia più a un’arena che a un ufficio, il processo di demolizione personale messo in atto dai due, che orgogliosamente si autodefiniscono dei predatori, comincia prima ancora che essi si trovino fisicamente gli uni di fronte all’altro, comincia quando uno di loro, avvertito della necessità di portare delle cartelline coi dati delle vendite, non lo comunica al collega, mettendolo in grave difficoltà. Poi c’è la ragazza, gelida, altezzosa, raffinata manipolatrice, che ne abbatte le difese con perfidi commenti sul suo aspetto fisico o sull’abito sbagliato, e il secondo uomo, subdolo, sfrontato, apertamente provocatorio, che lo trascina in impietosi confronti muscolari, e gli tende preventivamente tutte le trappole in cui il poveretto non potrà non cadere.

Pensate che costui abbia qualche asso nella manica per ribaltare la situazione? Sperate che il mondo non possa essere tanto ingiusto da far sì che un disegno così perverso possa andare a buon fine? Non illudetevi: in un crescendo di sadismo, le due belve attueranno il loro progetto come previsto, scopertamente, dichiaratamente, quasi animate da una sorta di brutale franchezza nel modo esplicito e palese con cui realizzano i propri intenti, al punto che il capo stesso, d’altronde assolutamente indifferente, potrà solo prendere atto di una scelta già imposta dai fatti. E all’oggetto della loro sopraffazione esprimeranno persino un’ipocrita comprensione per il figlio che egli non sarà in grado di mantenere, e per il nuovo lavoro che mai più riuscirà a trovare.

Nel suo diagramma algidamente dimostrativo, Bull ripercorre inequivocabilmente una dinamica da ufficio, ma il meccanismo potrebbe applicarsi a una classe scolastica o a una qualunque altra comunità che lasci spazio all’affermarsi dei più forti sui più deboli: non a caso Thomas, il perdente, subisce vessazioni che risalgono in qualche modo a modelli infantili. A corredo di questo suo manualetto di etologia applicata, l’autore aggiunge anche il complemento di uno scarno apparato ideologico: se non ci fossi stata io, ci sarebbe stato qualcun altro a farti questo – dice a Thomas la ragazza, che, con perfetta logica darwiniana, giustifica il bisogno di sbarazzarsi del soggetto più indifeso con l’esigenza di salvare il resto della tribù. È agghiacciante, ma non fa una piega.

A colpire però la sensibilità dello spettatore è soprattutto la studiatissima partitura gestuale messa a punto dai bravi attori, ottimamente diretti da Cherstich, e in particolare gli atteggiamenti fastidiosamente aggressivi dei due persecutori, l’insopportabile Isabel di Linda Gennari e l’orripilante Tony di Pietro Micci, cui si contrappongono quelli disgustosamente sottomessi dello sconfitto, Andrea Narsi. Dopo un po’, vorreste che costui li aggredisse fisicamente, che facesse loro del male. Vorreste aggredirli voi fisicamente, fare loro del male. E proprio questo insolito bisogno di reagire mi sembra l’esito più peculiare della scrittura di Bartlett: è un impulso istintivo, viscerale, a sua volta violento, e dunque censurabile, ma in fondo umanissimo, quindi a suo modo sano.

Peccato che queste energie negative suscitate dal testo non possano avere un riscontro concreto: la rivolta del pubblico contro una società che esprime simili individui sarebbe senza dubbio una parte non secondaria dello spettacolo.

Visto al Teatro Franco Parenti di Milano. Repliche fino al 10 aprile 2016

Bull
di Mike Bartlett
traduzione: Jacopo Gassman
regia e spazio scenico: Fabio Cherstich
con: Linda Gennari, Pietro Micci, Andrea Narsi, Alessandro Quattro