Tre opere giocose come “La gazza ladra”, “La gazzetta” e “L’inganno felice”, adatte alle corde dei giovani interpreti, hanno segnato la 36.ma edizione del ROF – Duccio Anselmi
In un momento di trasformazione, che vedrà con il prossimo anno il cambio alla direzione artistica tra un musicologo di fama come Alberto Zedda ed un professionista dell’organizzazione teatrale come l’ex-tenore Ernesto Palacio, il Rossini Opera Festival di Pesaro ha inaugurato la sua 36.ma edizione puntando a un cartellone decisamente improntato sui giovani. Di conseguenza si è soprasseduto sugli impegnativi titoli seri e si è preferito stazionare su quelli tendenzialmente giocosi, più alla portata delle voci emergenti, prescelte – come ormai avviene anche nei migliori teatri – per comprensibili necessità economiche. Quindi un’opera semiseria (La gazza ladra), una buffa (La gazzetta) e una farsa (L’inganno felice) costituivano il piatto forte di una stagione forse meno eclatante di altre ma pur sempre in linea con la classe che da sempre ha caratterizzato il festival pesarese.
Un capolavoro come la Gazza ladra (foto) – opera amatissima nell’Ottocento per l’ineffabile capacità di trascolorare dai toni brillanti a quelli patetici, da quelli sentimentali a quelli drammatici, nell’ispirarsi allo stile larmoyant ancora di gusto settecentesco – meritava per importanza di essere il titolo inaugurale, anche se a conti fatti non si è rivelato il più riuscito. La regia di Damiano Michieletto, che nel 2007 aveva entusiasmato, in questa ripresa è sembrata invecchiata e nonostante alcuni soluzioni tuttora felici – come quella di far volteggiare una ragazza acrobata al posto della gazza quale protagonista di un sogno sempre più inquietante – ha mostrato certe debolezze nella caratterizzazione dei personaggi e nel centrare la cifra variegata dell’opera, restituita prevalentemente in chiave drammatica. Al di là della qualità visiva (belle le scene minimaliste di Paolo Fantin come i costumi di Carla Teti e le luci suggestive di Alessandro Carletti), lo spettacolo di Michieletto – la cui carriera conobbe un salto rilevante grazie proprio a questo successo – è quindi sembrato svolgersi a senso unico, come d’altronde anche l’esecuzione musicale.
Tutte proiettate verso una lettura drammatica, vuoi la direzione pur ammirevole di Donato Renzetti vuoi la coppia degli innamorati Ninetta-Giannetto hanno mancato decisamente la corda della tenerezza e del lirismo, che costituisce la nota più toccante dell’opera. In effetti sia il soprano Nino Machaidze sia il tenore René Barbera hanno mostrato vocalità pregevoli ma anche un canto sempre stentoreo e poco incline alle sfumature affettuose. Senz’altro più centrate le figure affidate ai due bassi, quella del fuggitivo Fernando, cantata con bella voce e buona partecipazione espressiva da Alex Esposito, e quella del tirannico Podestà, in cui il giovane Marko Mimica si è imposto per l’ampiezza vocale e per un’autorità d’interprete da ricordare. Mancato il versante brillante riservato al personaggio en travesti di Pippo e affidato alla deludente Lena Belkina, gli altri interpreti hanno garantito un livello di qualità all’esecuzione, che ha riscosso un successo cordiale.
Molto più caloroso e convinto è stato invece quello che ha salutato l’andata in scena del nuovo allestimento della Gazzetta, opera per la verità solitamente ritenuta così zoppicante da essere già nell’Ottocento sparita velocemente dalle scene. In questo caso sia l’esecuzione che la regia sono invece risultati determinanti a ribaltare un’opinione prevenuta e infondata, visto che la partitura rossiniana – qui arricchita da un inedito quintetto, ritrovato miracolosamente – è sembrata brillare di luce nuova. Una regia vitalissima e rigorosamente giocata sul ritmo musicale, a firma di Marco Carniti, e una messinscena veramente ridotta all’osso ma assolutamente risolutiva e divertente (scene di Manuela Gasperoni, costumi di Maria Filippi, luci di Fabio Rossi) hanno finalmente reso giustizia ad un’opera che, schiacciata tra due colossi come il Barbiere di Siviglia e l’Otello, conferma tutta l’irresistibile genialità comica di Rossini, con anticipazioni che di lì a poco confluiranno in un capolavoro come La Cenerentola.
La compagnia di canto ha brillato di pari passo – sotto la vitale direzione di Enrique Mazzola, a capo dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, qui più in forma rispetto alla Gazza ladra – grazie al Don Pomponio di Nicola Alaimo, baritono che ha sfruttato la sua fisicità imponente e il dialetto napoletano del ruolo ai fini di un’autoironia comicissima, come l’altro baritono, Vito Priante, ha fatto valere voce, presenza e verve scenica di grande classe nei panni di Filippo. Bravissimo e misurato anche l’Alberto del tenore Maxim Mironov, gradevolissima la Lisetta di Hasmik Torosyan, soprano di bella presenza e virtuosismo, e buoni tutti gli altri interpreti, con una segnalazione particolare per lo scatenato Tommasino del mimo Ernesto Lama.
Per quanto riguarda L’inganno felice – una delle farse che caratterizzarono gli esordi veneziani del giovane Gioachino – non si poteva sperare in un riscontro pari agli altri titoli, vista la fragilità di un lavoro pregevole ma non paragonabile ad altri dello stesso genere e periodo. Il maggiore interesse si è trovato nel recupero di un vecchio allestimento di Graham Vick, quello del suo debutto al ROF nel 1994, in cui il regista inglese sfoggiava un gusto e una misura che sono decisamente venuti meno in anni più recenti e non sempre a favore di una reale maturazione interpretativa. Complici la scena e i costumi di Richard Hudson, perfetti nel restituire un’ambientazione che sembrava uscita da un quadro romantico, la regia di Vick forse più di ieri ha riconfermato intatta tutta la sua qualità e la sua analisi nella restituzione dei personaggi.
In questi hanno brillato il Tarabotto di un buffo consumato quale Carlo Lepore insieme all’ottimo Batone di Davide Luciano, alla suggestiva Isabella di Mariangela Sicilia, all’elegante anche se un po’ acerbo Bertrando di Vassilis Kavayas, tutti giovani attinti dall’Accademia Rossiniana che di anno in anno costituisce il vivaio di nuove voci. Equilibrata anche se un po’ spenta la direzione di Denis Vlasenko, a capo dell’Orchestra Sinfonica G.Rossini, accolta cordialmente insieme a tutti gli interpreti da un pubblico sempre più di respiro internazionale.
Visti il 10, 11, 12 agosto al Rossini Opera Festival di Pesaro
LA GAZZA LADRA
Melodramma in due atti di Giovanni Gherardini
Musica di Gioachino Rossini
Lisetta: Nino Machaidze
Giannetto: René Barbera
Fernando: Alex Esposito
Gottardo: Marko Mimica
Lucia: Teresa Iervolino
Fabrizio: Simone Alberghini
Pippo: Lena Belkina
Isacco: Matteo Macchioni
Direttore Donato Renzetti
Maestro del coro Andrea Faidutti
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
LA GAZZETTA
Dramma in musica in due atti di Giuseppe Palomba
Musica di Gioachino Rossini
Don Pomponio: Nicola Alaimo
Lisetta: Hasmik Torosyan
Filippo: Vito Priante
Alberto: Maxim Mironov
Madama La Rose: José Maria Lo Monaco
Doralice: Raffaella Lupinacci
Tommasino: Ernesto Lama
Direttore Enrique Mazzola
Regia Marco Carniti
Scene Manuela Gasperoni
Costumi Maria Filippi
Luci Fabio Rossi
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
L’INGANNO FELICE
Farsa in un atto di Felice Foppa
Musica di Gioachino Rossini
Tarabotto: Carlo Lepore
Isabella: Mariangela Sicilia
Batone: Davide Luciano
Bertrando: Vassilis Kavayas
Ormondo: Giulio Mastrototaro
Direttore Denis Vlasenko
Regia Graham Vick
Scene e costumi Richard Hudson
Luci Matthew Richardson
Orchestra Sinfonica G. Rossini