Due novità create appositamente e un gioiello riadattato per gli eccellenti danzatori di Aterballetto segnano idealmente le nuove linee della sua storia artistica, ma soprattutto celebrano l’eccellenza di una compagnia di ‘stelle’- Silvia Poletti
Nel nuovo programma acclamato dal pubblico che ha gremito il Teatro Municipale Valli di Reggio Emilia, durante il Festival Aperto, Aterballetto ha riunito idealmente le tre linee portanti della sua attuale identità artistica: un’attenzione assoluta per la coreografia di danza (precisazione non peregrina, visto che ormai la danza/danza come vocabolario fondante quest’arte sembra essere diventato un attributo pleonastico); un dovere nell’individuazione e incoraggiamento di nuovi autori attivi in Italia; la proposta delle attuali più convincenti espressioni coreografiche sviluppatesi nel mondo. Il tutto rappresentato, o per meglio dire interpretato da una formazione il cui ben noto talento e bravura si sposano sempre più con la fioritura strepitosa delle personalità individuali – la cui sensibilità, bellezza, stile, dinamica fisica ormai talmente distinta e ‘riconoscibile’ conferisce ai vari lavori e alle varie distribuzioni di cast un inequivocabile valore aggiunto.
È un lavoro sapiente, ma non così frequente anche nelle grandi compagnie, fare sbocciare un nuovo talento ad ogni spettacolo, ad ogni creazione. Qui si riesce, ed è quello che oggi fa di Aterballetto, qualunque cosa proponga, il vero assoluto protagonista della serata teatrale.
A Reggio Emilia, si diceva, le tre linee portanti si sintetizzavano idealmente nel trittico formato dalla novità assoluta L’eco dell’acqua, di Philippe Kratz, danzatore della compagnia sulla cui vena compositiva si appunta l’interesse; Antitesi, creazione firmata per Aterballetto dal coreografo greco Andonis Foniadakis e – incastonato come la gemma che è – il magistrale duetto 14’20” che Jiri Kylian ha estratto da una pièce più lunga (27′ 52” ) e ha concesso ai reggiani. Perché magistrale? Non tanto e non solo perché è costruito con uno strepitoso nitore teatrale e compositivo (nel senso letterale di spazio scenico/drammaturgico), ma soprattutto per la capacità di immergere lo spettatore in una situazione emozionale suggestiva e avvolgente con economia di gesti e capacità di sintesi che mirano diritte all’essenza della dinamica nelle spazio, dei muscoli del corpo dei due interpreti, dell’intenzione che riveste i vari gesti, la combinazione dei quali rivela il pensiero nascosto dell’autore. Del resto far combaciare contenuto e forma è una delle cose più ardue dell’espressione artistica, qualsiasi essa sia. Anche perché non è detto che il contenuto abbia solide basi su cui poggiare, o sia – per usare un termine caro a Kylian – ‘onesto’ nei suoi intenti. Ma se si percepisce onestà, anche eventuali incertezze di forma possono essere più facilmente emendabili.
Così il bel lavoro di Philippe Kratz, L’eco dell’acqua, ispirato ad una meditabonda poesia di Goethe sul destino degli uomini nonostante un andamento che tende, nella seconda parte, ad allentare la tensione, conferma proprio una sua onestà nell’affascinante capacità di creare un mondo immaginifico, straniante e visionario – con creature che sembrano dibattersi e forse soccombere tra i gorghi delle acque tempestose dell’esistenza (con la danzatrice che si muove sollevata da terra, tra lembi di seta azzurra). È il modo in cui Kratz sa abilmente calibrare il gioco teatrale alla sua intenzione espressiva (il rischio dell’effettismo è dietro l’angolo) che rivela una sensibilità interessante, da incoraggiare: riesce a creare mistero con immagini elusive (la creatura in kimono bianco che attraversa la scena, lenta, misteriosa, inesorabile, osservata e inseguita dalle anime inquiete; la scena di cui sopra; la dialettica tra le figure femminili che sembrano specchio e risposta l’una dell’altra – ma anche ciascuna rivela aspetti insondabili all’altra). E soprattutto declina il tutto in una danza ariosa, elegante e forbita, senza l’ansia di ricercare forme astruse, ma facendo respirare i corpi dei suoi ballerini e lo sguardo di noi spettatori, ammantandolo di nuances dinamiche e di luci e ombre (di Carlo Cerri in particolare stato di grazia).
Quanto Kratz è alla ricerca di ombreggiature dinamiche, tanto Foniadakis punta sull’adrenalitico furore di un movimento apparentemente selvatico. Antitesi, che ha debuttato in primavera nella stagione Aterballetto del Piccolo di Milano, si propone di contrapporre il senso di bellezza classico – bellezza etica e estetica, nata dall’armonia, equilibrio, grazia e serenità olimpiche – all’orrore attuale; ma anche il lento al veloce, il maschile al femminile e così via. Antitetiche ma non contrapposte le scelte musicali: da un lato la solenne autorevolezza della musica barocca di Pergolesi, Tartini, Scarlatti; dall’altro le voragini sonore di Scelsi e Romitelli. Nell’elaborare la sua visione Foniadakis impone ai generosi danzatori reggiani un vero e proprio tour de force fisico: lo esige la complessa, dissociata qualità della sua danza, che parte da un uso continuo del collo e della testa alla flessibilità del busto di eco cunninghamiano, alla pulizia dei piedi e delle gambe – spesso impegnate in passi dall’eco accademica. La sua caratteristica di lavorare con l’ ensemble amplifica questa modalità energica e travolgente, che raramente si concede quelle pause sublimi utili a metabolizzare il tutto. Di queste forse si sente maggiormente il bisogno in questo rutilante lavoro che travolge, letteralmente, e anche, talvolta, a dispetto della musica, con lo slancio delle dinamiche inarrestabili, dei gruppi scultorei che si sfaldano irrequieti, vorticano nello spazio – agitando ogni parte del corpo, lingua compresa.
Dell’eccellenza di Aterballetto e della speciale qualità del suo attuale ensemble s’è già detto. Piace però ricordare un nome in particolare, quello di Serena Vinzio, ultimo fiore sbocciato di questa bella e generosa compagnia.
Visto al Teatro Municipale Romolo Valli, Reggio Emilia per Festival Aperto, 6 novembre 2015. In apertura Antitesi, compagnia Aterballetto, coreografia Andonis Foniadakis foto Nadir Bonazzi
L’eco dell’ acqua
Coreografia: Philippe Kratz
Musica: Federico Albanese, Jonny Greenwood, Howling, Arvo Pärt, Sufjan Stevens, The Haxan Cloak
Costumi: Philippe Kratz e Costanza Maramotti
14’20”
Coreografia: Jiri Kylian
Musica: Dirk Haubrich (nuova composizione, basata su 2 temi di Gustav Mahler)
Scene: Jiří Kylián
Costumi: Joke Visser
Luci: Kees Tjebbes
Antitesi
Coreografia Andonis Foniadakis
Musiche italiane dal XVI al XX secolo
Sound design Julien Taerride
Costumi Kristopher Millar e Lois Swandale
Luci:Carlo Cerri