God Save Mariella Devia, “The Queen”

Tra le ultime grandi eredi della tradizione belcantistica italiana, la soprano ligure si è dimostrata un’artista dalle inesauribili, sorprendenti sorprese nel “Roberto Devereux” di Donizetti prodotto dal Carlo Felice di Genova con il Regio di Parma e la Fenice di VeneziaDavide Annachini

Era il 1964 quando Roberto Devereux emerse dall’oblio, imponendosi come uno dei melodrammi più suggestivi e potenti usciti dalla fecondissima penna di Donizetti e dando il via ad una vera e propria rinascita di questo autore, già inauguratasi con la leggendaria Anna Bolena scaligera del 1957, siglata dal formidabile terzetto Callas-Visconti-Gavazzeni. Fu però proprio Devereux a dare impulso a quella frenetica stagione di riesumazioni che andò sotto il nome di “Donizetti-Renaissance” e che vide la riscoperta di opere interessantissime, più o meno ispirate ma pur sempre illuminanti nel restituire tutto un mondo lirico, romantico sino al midollo e liberamente ispirato alla storia. Fu soprattutto la storia inglese a farla da padrone, attraverso la mediazione fantasiosa ma al tempo stesso teatralissima di Walter Scott o di Schiller, il che giustificò il prevalente interesse anglosassone per questo Donizetti raro. Furono in particolare le tre regine Tudor – Anna Bolena, Maria Stuarda ed Elisabetta I – a tentare le grandi primedonne, dalla Gencer alla Caballé, dalla Sills alla Sutherland, tutte in gara nel misurarsi con parti di eccezionale rilievo belcantistico e interpretativo.

Tra le ultime grandi eredi di questa nobile tradizione vocale si segnala Mariella Devia, che dopo quasi cinquant’anni di superba carriera, si qualifica tuttora come la più quotata belcantista italiana e come un’artista dalle inesauribili, sorprendenti sorprese. Lo ha confermato, dopo i trionfi nei panni di Stuarda e Bolena, la sua ultima presa di ruolo come Elisabetta del Devereux, già sperimentata all’estero ma portata per la prima volta sulle scene italiane (dopo l’esordio in forma di concerto a Firenze) al Carlo Felice di Genova. Si è trattato di un ennesimo successo per il soprano ligure, che al di là dei meriti anagrafici, davvero sorprendenti quanto a longevità, ha vinto la sua scommessa nei confronti di un ruolo apparentemente lontano dalle sue qualità naturali. In effetti per la scrittura medio-grave e per il forte taglio drammatico il ruolo della regina inglese sembrerebbe quanto di più lontano da una voce svettante e di caratura lirica come quella della Devia, che grazie ad una tecnica superlativa e ad un’intelligenza fuori dal comune ha però dimostrato come sia per lei possibile risolvere un’impresa improba non venendo mai meno agli abituali livelli di eccezionalità. Se la perfetta levigatura dell’emissione, sempre ferma e morbida, il legato esemplare, i fiati interminabili, l’eleganza del virtuosismo, l’eccezionale estensione nell’acuto (miracoloso, a coronamento della massacrante cabaletta finale, il suo esplosivo re sovracuto) hanno ancora una volta confermato un’impensabile freschezza vocale, è stata soprattutto la sua sottigliezza d’interprete a colpire, nel risolvere con gli accenti più insinuanti, con il dosaggio calibratissimo degli effetti, con la misura della recitazione un personaggio del tutto personale. Quello cioè di una regina non più collerica e nevrotica, come il modello cinematografico di Bette Davis aveva suggestionato tante cantanti, ma di un’icona regale e distaccata nei suoi momenti pubblici quanto di una donna tenera e fragile in quelli intimi. Bellissima interpretazione (assai più convincente di quella fiorentina, incentrata prevalentemente sull’esecuzione), che ha raccolto un successo di pubblico trionfale e meritatissimo.

Per questo debutto speciale, il teatro di Genova ha pensato bene di non lasciare la Devia da sola ma di confezionare per lei un’edizione degna dell’occasione. Al suo fianco abbiamo quindi potuto apprezzare una cantante di qualità come Sonia Ganassi, che nel ruolo di Sara – scritto per mezzosoprano acuto – ha potuto dare il meglio di sé, grazie al calore del suo registro centrale e allo slancio di quello acuto, insieme ad una grande passionalità espressiva, dolente e drammatica al tempo stesso. Una felice rivelazione è stata quella del tenore romeno Stefan Pop come Roberto Devereux, dalla voce sonora, ampia e raggiante, forse emessa con fin troppa generosità, ma senza dubbio appagante per un ruolo che, come gli altri, rischia di rimanere schiacciato dalla protagonista. Voce solida, ma anche nel suo caso emessa con effetto stentoreo quando invece lo stile imporrebbe un canto più sfumato e vario, quella del baritono coreano Mansoo Kim, un Duca di Nottingham fin troppo vendicativo, che ha completato insieme agli interpreti dei ruoli minori un cast di livello.

Pregevole, per il piglio deciso e per il sicuro controllo dell’orchestra (forse meno quello del coro, non esente talvolta da sbavature), la direzione del giovane Francesco Lanzillotta, in grado di rispettare le richieste dello stile donizettiano e gli equilibri tra buca orchestrale e palcoscenico.

Altro debutto era quello nella regia di un baritono di consumata esperienza teatrale quale Alfonso Antoniozzi, che ha dimostrato in questo caso di rispettare la tradizione puntando su alcune soluzioni sceniche suggestive, al di là di qualche intervento registico forse non indispensabile, come l’onnipresente giullare che tanto faceva pensare ad un Rigoletto entrato nell’opera sbagliata.

Efficace l’allestimento – realizzato in coproduzione con il Regio di Parma e la Fenice di Venezia – più nei sontuosi costumi di Gianluca Falaschi che nelle scene di un Gotico stilizzato ma leggermente stucchevole di Monica Manganelli, ai quali hanno dato il loro contributo le luci di Luciano Novelli, nel confezionare una cornice funzionale e misurata al dramma fascinoso di Donizetti.

Davide Annachini

Visto il 24 marzo al Teatro Carlo Felice di Genova. Ultima replica il 29 marzo 2016. 

ROBERTO DEVEREUX
Tragedia lirica in tre atti
Libretto di Salvatore Cammarano
Musica di Gaetano Donizetti

Elisabetta I – Mariella Devia
Roberto Devereuxv – Stefan Pop
Sara di Nottingham – Sonia Ganassi
Il Duca di Nottingham – Mansoo Kim
Lord Cecil – Alessandro Fantoni
Sir Gualtiero Raleigh – Claudio Ottino
Un paggio – Roberto Conti
Un familiare – Alessio Bianchini

Direttore d’orchestra – Franceso Lanzillotta
Maestro del coro – Pablo Assante
Regia – Alfonso Antoniozzi
Scene – Monica Manganelli
Costumi – Gianluca Falaschi
Luci – Luciano Novelli

Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice di Genova