Un’operazione che unisce l’opera lirica verista e la cultura pop di oggi chiude in maniera estrosa e applauditissima il Ravenna Festival 2017. Parola d’ordine:largo ai giovani – Davide Annachini
Come battuta finale del Ravenna Festival è andata in scena al Teatro Alighieri una Trilogia d’Autunno che, dopo le precedenti dedicate a Verdi e a Puccini, ha puntato quest’anno sugli autori veristi. Sull’orlo del Novecento ha presentato in successione Cavalleria rusticana, Pagliacci e Tosca, anticipate in ogni singola serata da una performance di giovanissimi talenti, impegnati a creare una loro storia ispirata all’opera in questione.
Pagliacci remix – su progetto e direzione artistica di Cristina Mazzavillani Muti, instancabile e vulcanica mente creatrice del Ravenna Festival – ha visto ad esempio un gruppo di ragazzi agguerritissimi, che su testi di loro mano hanno dato vita a una rilettura del capolavoro di Leoncavallo, utilizzando le forme a loro più vicine, dal rap al ballo, dal sax al pattinaggio. Bravi tutti, con una segnalazione particolare per il saxofonista Alessandro Salaroli e per il rapper Nicola Russo, ma addirittura eccezionali i fratelli forlivesi Faggi, Elena e soprattutto Francesco, pianista-cantante-ballerino di eccezionale musicalità e comunicativa, che non a caso con la sorella ha sbaragliato nel recente Italia’s got Talent, riuscendo persino a commuovere una cinica proverbiale come la Littizzetto.
Di seguito l’opera di Leoncavallo ha tenuto fede allo stesso stile di sperimentazione di giovani talenti e di una linea esecutiva sobria quanto intensa, che ha restituito le qualità migliori di questa pietra miliare del Verismo, troppo bistrattata da una tradizione becera e truculenta. La volontà di rispettare la partitura originale, depurata dalle sparate acute non scritte e dagli eccessi plateali, è stato uno dei meriti da riconoscere a Vladimir Ovodok, giovane direttore bielorusso che ha fatto evidente tesoro dell’esperienza maturata con Riccardo Muti, anche nell’asciuttezza e nel rigore della sua lettura, appassionata e al tempo stesso misurata, ben sostenuta dall’ Orchestra Giovanile Luigi Cherubini insieme al Coro del Teatro Municipale di Piacenza e delle voci bianche Ludus Vocalis.
La compagnia di canto metteva in luce alcune voci interessanti e comunque un’équipe di interpreti sempre molto calati nelle loro parti, che com’è noto non sarebbero propriamente intonate ai giovanissimi per i rischi di una scrittura ipertesa e drammatica come quella verista. Si è fatto onore, per tenuta, sicurezza, intensità (e anche per l’inconveniente di un braccio ingessato), il Canio di Diego Cavazzin, tenore di maggiore età ma di recente esordio, molto apprezzabile soprattutto per la sobrietà con cui ha nobilitato un personaggio solitamente “nido di memorie” quanto mai deprecabili. Al suo fianco la Nedda del soprano spagnolo Estìbaliz Martyn ha forse scoperto una vocalità esigua per la parte, esile e pallida per quanto musicalissima, ma in compenso la figura diafana e il temperamento incisivo hanno servito perfettamente un personaggio ideale nel contesto di questo spettacolo. La sua immagine angelicata ma in grado di tenere testa alle insidie di un Tonio mastodontico come quello di Kiril Manolov – baritono bulgaro di ampia vocalità e buona presenza scenica – ha dato vita a un contrasto psicologico intrigante, come d’altro lato si è sposata poeticamente alla figura aitante e romantica del Silvio di Igor Onishchenko, molto ben risolto anche sul piano vocale, grazie all’i ntensità brunita del timbro e alla duttilità espressiva. Non ultimo il Beppe di Giovanni Sala, che nella serenata di Arlecchino come anche in tutti i suoi brevi interventi ha mostrato una limpida voce di tenore, un’elegante linea di canto, un’evidente intelligenza d’interprete, a dimostrazione di come non esistano piccoli ruoli per gli artisti di qualità.
Da segnalare inoltre, per le spettacolari acrobazie e la marmorea presenza scenica, Andrea Neyroz, giovane ginnasta ravennate che a sua volta si è guadagnato standing ovation a Italia’s got Talent.
La regia di Cristina Mazzavillani Muti ha sicuramente deciso lo stile di questa edizione, per l’incisiva definizione dei personaggi, la cura di una recitazione mai a effetto, l’asciuttezza della messinscena (sostenuta dall’ideazione spazio e in particolare dalle luci fondamentali di Vincent Longuemare e dai bellissimi costumi di Alessandro Lai), che per la scelta fondamentale del bianco e nero è sembrata connotare questa interpretazione di Pagliacci di una cifra neorealista, ancor più che verista.
Caloroso e meritato successo di pubblico per tutti, con punte di entusiasmo per i giovanissimi.
Visto a Ravenna, Teatro Alighieri il 18 novembre 2017. Foto Zani/Casadio cortesia Ravenna Fesrival