Scritto da Mario Diament con evidente riferimento a Jorge Luis Borges, lo spettacolo diretto con totale adesione da Andrée Ruth Shammah si muove, in apparenza lento, attorno al grande dilemma di ciò che si vuole dire e ciò che si vuole tacere. Nei ruoli fondamentali Gioele Dix, Elia Schilton, Laura Marinoni – Maria Grazia Gregori
È in scena al Teatro Franco Parenti di Milano uno spettacolo curioso che si muove, in apparenza lento, attorno al grande dilemma di ciò che si vuole dire e ciò che si vuole tacere. Per dirla più semplicemente, il sogno e la realtà non contrapposti ma in osmosi fra di loro come in un’ideale lanterna magica che mescola personaggi, sensazioni, impulsi. C’è un gran “burattinaio” in questo testo che a cominciare dal titolo, Cita a ciegas (Appuntamento al buio) parrebbe evocare una pochade ovviamente nera per via di quell’incrocio fra l’urticante ironia, la coinvolgente, ellittica profondità che è tipica di tanta drammaturgia argentina.
Ad apertura di sipario se uno vagamente pensa di trovarsi di fronte a una specie di divertissement cambia subito opinione: la bella, candida scena chiusa da un muro bianco di Gianmaurizio Fercioni, ombreggiata da alberi di jacaranda, ci dà subito il segno di un altro altrove. Lì, seduto su di una panchina anch’essa bianca, nella luce abbagliante di una piazza di Buenos Aires, che Andrée Ruth Shammah – per la quale ho l’impressione che questo sia un po’ uno spettacolo “del cuore”, di cui ha curato traduzione, adattamento e ovviamente la regia – immagina sia piazza San Martin, uno dei luoghi prediletti del grande Luis Borges, sta seduto uno strano personaggio vestito di bianco, bastone da passeggio bianco, cappello a larga tesa anch’esso bianco con fascia nera. È il fuoco, il centro di una storia di cui, forse suo malgrado, è il deus ex machina che nel testo di Mario Diament (settantaseienne autore di successo in tutto il Sudamerica che oggi vive a Miami, dove insegna all’Università di giornalismo e comunicazione) chiama il Cieco. Omaggio chiarissimo al dominus della cultura argentina, Luis Borges, apparentemente perso nei meandri della mente quasi inseguisse un suo, segreto ritmo interiore: non dimentichiamoci che dobbiamo a lui la più folgorante definizione che sia stata data del tango: “un pensiero triste che si balla” e che qui echeggia di tanto in tanto nel corso dello spettacolo.
Questa specie di genius loci apparentemente destinato all’immobilità (credo che a Gioele Dix sia costato non poco lavoro interpretare un personaggio destinato ad agire in tempi lunghi e che, quasi non muovendosi, riempie di sé tutto il palcoscenico) è il vero e proprio catalizzatore di ciò che accade, dei personaggi più diversi che entrano ed escono di scena come inseguendo un imperativo interiore, con la loro voglia di vivere e la malinconia per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato se il pensiero e il desiderio riescono ancora a sconvolgerti la vita. Un luogo dei destini incrociati ma subito disfatti.
Qui, a questa panchina, arriva un mondo che più vario non si può. C’è il Bancario segnato da un’inquietudine, da una follia a lungo nascosta nel raggiungere traguardi finanziari, con moglie Psicologa abituata a indagare nella psiche degli altri ma del tutto incapace di capire chi le sta vicino. Succede che lui si innamori di una Ragazza che fa la scultrice di opere astratte pronta a prendere la vita a morsi e che della storia venga a conoscenza la moglie quando la madre della ragazza va da lei per liberarsi di un fardello pesante che qui non si vuole raccontare perché in questo testo c’è un po’ di suspence, di sorpresa che va mantenuta, di violenza.
La panchina diventa dunque il luogo in cui il Cieco dispensa la sua saggezza: la vita va vissuta costi quel che costi. Anche lui ha un segreto che rivela al Bancario: a Parigi su di una scala mobile, è rimasto folgorato dal profumo, dalla bellezza, dall’onda di vita che una Donna, scendendo in direzione opposta alla sua emanava. Di quell’incontro non si è mai dimenticato tanto che dopo anni, e cieco, la riconoscerà con gli occhi della mente quando arriverà alla panchina. E anche lei non ha dimenticato… Sotto le jacarande due mani si toccano teneramente: rimpianto, futuro, poco importa, quante volte ci è capitato di volere fortemente qualcosa e di non riuscire a ottenerlo o a fermarlo. Ma non perché la vita sia un sogno ma perché spesso è impossibile realizzarle queste piccole folgorazioni di felicità possibile.
Testo apparentemente delicato ma con una sua durezza interiore e perfino drammatico, Cita a Ciegas ha potuto contare sulla regia affilata, profonda, oserei dire innamorata di Andrée Ruth Shammah che si è calata con passione e rara introspezione in questo lavoro. Che ha avuto un esito felice anche grazie all’ottima direzione di attori: oltre a Gioele Dix di cui ho già detto, fondamentale è il personaggio (forse il più sudamericano di tutti) del Bancario che ne ha fatto, con rara finezza interpretativa Elia Schilton, come fondamentale è la Donna di Laura Marinoni che ha saputo dare un senso vero, vitale al suo personaggio pieno di forza e non solo di rimpianti. E buone sono anche le interpretazioni di Sara Bertelà (la Psicologa) e di Roberta Lanave (la Ragazza).
Visto al Teatro Franco Parenti di Milano. Repliche fino al 29 marzo 2018
Cita a ciegas (Appuntamento al buio)
di Mario Diament
traduzione, adattamento e regia Andrée Ruth Shammah
traduzione dallo spagnolo Maddalena Cazzaniga
con Gioele Dix – Laura Marinoni, Elia Schilton – Sara Bertelà, Roberta Lanave
scena Gianmaurizio Fercioni
luci Camilla Piccioni
costumi Nicoletta Ceccolini
musiche Michele Tadini
produzione Teatro Franco Parenti e Fondazione Teatro della Toscana
Spettacolo parte del progetto Voci dal Sur / Argentina
Ideato dal Teatro Franco Parenti / Associazione Pier Lombardo e da Edizioni Sur