In attesa del festival estivo, la Fondazione scaligera ha presentato un’edizione dell’opera di Cilea proveniente dal Teatro Sociale di Como a firma di Ivan Stefanutti, che l’ha plausibilmente riportata all’epoca del suo debutto milanese (1902), in un’ambientazione tutta in bianco e nero. Un convinto successo di pubblico – Davide Annachini
In attesa di avviare il festival estivo (che tra le curiosità anticipa una nuova Traviata a firma di Zeffirelli e la presenza di una star come Anna Netrebko nel Trovatore), la Fondazione Arena di Verona ha presentato nell’ambito della stagione invernale al Teatro Filarmonico un’edizione dell’Adriana Lecouvreur di Cilea. Opera singolare nell’ambito della “Giovane Scuola” per il suggestivo lirismo dello stile e l’aristocratica ambientazione settecentesca, Adriana di certo rifuggiva le sanguigne visceralità popolaresche del Verismo e si collocava perfettamente in quello spirito languido e decadente che caratterizzava la Belle Époque dei primissimi anni del Novecento. Per quanto il successo avesse contrassegnato i suoi primi passi, la fortuna di quest’opera conobbe momenti alterni e visse soprattutto in funzione della primadonna di turno – che poteva guadagnarsi il ruolo sognato da ogni autentica cantante-attrice –, nonostante la presenza di momenti melodici di rara suggestione garantiti anche agli altri interpreti.
Visto che le Olivero e le Kabaivanska (due Adriane rimaste insuperate) ora non ci sono più, il capolavoro di Cilea è più raro da incontrarsi nei cartelloni lirici e quindi ogni sua ripresa torna preziosa per ricordarci le qualità della partitura. Bene ha fatto di conseguenza l’Arena a riprenderla dopo trent’anni, in un’edizione che anche senza presentare momenti memorabili ha confermato come l’opera abbia ancora molte frecce al suo arco per piacere al pubblico.
L’esecuzione puntava su un soprano di ottime qualità liriche come la cinese Hui He, che a Verona è di casa soprattutto come Aida, ruolo con cui si è presentata anche nei maggiori teatri internazionali. Nei panni della celebre tragicienne amata da Voltaire ha potuto far valere un canto come sempre soffice e tornito, di notevole intimismo e passionalità, compensando con la bellezza del timbro e la sincerità dell’interpretazione la mancanza di quell’allure da femme fatale che dovrebbe siglare un personaggio come questo, in odore più dannunziano che settecentesco. Il successo è stato soprattutto suo, anche se a fronteggiarla come Principessa di Bouillon (l’inesorabile rivale in amore che porterà Adriana alla morte con le famose violette cosparse di arsenico) si è fatta valere Carmen Topciu, mezzosoprano rumeno di vocalità solida e di adeguato rilievo interpretativo, supportato anche dall’elegante figura. Il versante maschile vedeva due veterani di esperienza consumata, quali Fabio Armiliato e Alberto Mastromarino, il primo tornato al teatro dopo la dolorosa scomparsa della sua compagna di vita e di scena, l’indimenticata Daniela Dessì, alla quale questa edizione era dedicata quale superba interprete di Adriana. Il suo Maurizio di Sassonia, nonostante qualche affaticamento nel registro acuto, si è fatto valere per slancio e sentimento, oltre che per un efficace risalto scenico, impetuoso e appassionato, mentre Mastromarino, con un fisico visibilmente ridimensionato, ha saputo cogliere del personaggio di Michonnet soprattutto il lato dolente e senile, risolvendo una parte per lo più giocata sull’abilità della declamazione oltre che sul canto. Buone le parti di fianco, che avevano il merito di valorizzare alcune giovani voci, e molto apprezzabile la direzione limpida, sensibile e dall’ottima tenuta drammaturgica di Massimiliano Stefanelli, ben corrisposto dall’Orchestra e dal Coro dell’Arena, preparato da Vito Lombardi.
Lo spettacolo, proveniente dal Teatro Sociale di Como – As.Li.Co., era a totale firma di Ivan Stefanutti, che plausibilmente riportava l’opera all’epoca del suo debutto milanese (il 1902), in un’ambientazione dichiaratamente Liberty tutta in bianco e nero, in cui la grande attrice francese trovava il suo diretto riferimento più che a Fedra e a Melpomene a una diva per eccellenza come Lyda Borelli, languidissima protagonista del cinema muto. Un allestimento stilizzato nelle forme ma efficace nelle atmosfere (luci di Paolo Mazzon), con suggestioni alla Nijinsky nel famoso “Giudizio di Paride” coreografato da Michele Cosentino in chiave di Après-midi d’un faune.
Successo convinto di pubblico per tutti gli interpreti.
Visto al Teatro Filarmonico di Verona il 4 aprile 2019
ADRIANA LECOUVREUR
Opera in quattro atti
Libretto di Arturo Colautti, dal dramma di Eugène Scribe e Ernest-Wilfrid Legouvé
Musica di Francesco Cilea
ADRIANA LECOUVREUR Hui He
MAURIZIO Fabio Armiliato
IL PRINCIPE DI BOUILLON Alessandro Abis
LA PRINCIPESSA DI BOUILLON Carmen Topciu
MICHONNET Alberto Mastromarino
L’ABATE DI CHAZEUIL Roberto Covatta
POISSON Klodjan Kacani
QUINAULT Massimiliano Catellani
MAD.LLA JOUVENOT Cristin Arsenova
MAD.LLA DANGEVILLE Lorrie Garcia
Direttore d’orchestra – Massimiliano Stefanelli
Regia, scene, costumi – Ivan Stefanutti
Luci – Paolo Mazzon
Maestro del Coro – Vito Lombardi
ORCHESTRA, CORO E TECNICI DELL’ARENA DI VERONA
Allestimento del Teatro Sociale di Como – As.Li.Co.