Lucia di Lammermoor

Cupa, funerea Lucia di Lammermoor a Verona

Malgrado l’assenza di nomi altisonanti, l’apertura della stagione invernale areniana è risultata vincente, facendo con intelligenza di necessità virtùDuccio Anselmi

La Fondazione Arena di Verona ha dato il via alla sua stagione invernale al Teatro Filarmonico con un’edizione di Lucia di Lammermoor che è risultata vincente al di là di una locandina dai nomi non altisonanti. È questo il momento d’altronde per i teatri di dimostrare come fare di necessità virtù e, visto che grandi star e grandi risorse non sono più di casa, sono quelli che riescono a coniugare la qualità con i mezzi a disposizione ad emergere. In questa situazione soprattutto i giovani hanno modo di essere valorizzati più di un tempo, spesso rischiando di fare il passo più lungo della gamba ma anche – come in questo caso – trovando l’occasione di mettersi in luce al meglio.

La Lucia di Donizetti, si sa, è uno dei banchi di prova per i soprani belcantistici, tanto più da quando la Callas ha fatto capire che questo non poteva più essere un ruolo relegato ai soprani leggeri e meramente acrobatici ma ben altro, sia sotto il profilo vocale sia sotto quello espressivo. Le interpreti memorabili, per quanto rappresentino un modello di confronto spesso schiacciante, hanno quindi segnato una traccia nell’interpretazione del capolavoro donizettiano dalla quale è impossibile prescindere.

L’ha dimostrato a Verona l’ultima neofita del ruolo, Irina Lungu, soprano dalla vocalità forse non fuori dal comune ma caratterizzata da un colore ombreggiato nei centri e luminoso sugli acuti, che ha conferito al personaggio una sua singolarità timbrica, misteriosa, malinconica e inquieta, ideale per suggerire quella fragilità psicologica che sfocerà, com’è noto, nella più celebre scena di pazzia del melodramma. La Lungu ha dimostrato grande duttilità come esecutrice, soprattutto nelle suggestive mezzevoci quanto nei suoni flautati e al tempo stesso morbidi del registro acuto, evidenziando gusto e precisione nelle agilità e sicurezza nelle puntature sovracute. Ha cantato la parte come un soprano “lirico d’agilità” e non come un sopranino di coloratura, allineandosi quindi alla sensibilità postcallasiana di un personaggio più maturo e meno cinguettante, più intenso e meno zuccheroso. Il debutto l’ha trovata inizialmente forse controllata all’eccesso nella resa del personaggio, fin troppo austero e introverso, ma nella pazzia la primadonna è finalmente venuta allo scoperto, facendo valere ottime intenzioni espressive e una presenza scenica suggestiva, anche in virtù della bella figura.

Non è stato da meno Piero Pretti, tenore di ottima linea vocale, nitida, timbrata e squillante sull’acuto, che come Edgardo ha rivelato stile, eleganza e slancio, confermando grande padronanza del ruolo e una sensibilità di fraseggio ammirevole, soprattutto nell’invettiva della scena delle nozze e nel romanticissimo – quanto ostico – finale. Una prestazione calorosamente accolta dal pubblico la sua e, come nel caso della Lungu, davvero a ragione.

Completavano il cast l’Enrico molto stentoreo per quanto sicuro di Marco di Felice, che con una maggiore ricerca di sfumature potrebbe essere un baritono affidabile anche per questo repertorio, in cui è richiesta però altra nobiltà di canto; il Raimondo autorevole e solenne di Insung Sim; il pregevole Arturo di Alessandro Scotto di Luzio; la valida Alisa di Elisa Balbo e l’efficace Normanno di Francesco Pittari.

Fabrizio Maria Carminati ha diretto con convinzione e misura la partitura donizettiana, sostenendo bene il canto e ottenendo dall’orchestra e dal coro areniani il giusto risalto drammatico, se non proprio la lunare tinta romantica dell’opera. Lo stesso spettacolo di Guglielmo Ferro, tutto giocato sulle proiezioni di ardite prospettive gotiche che fungevano da fondale, guardava ad una lettura un po’ a senso unico, funerea, severa e opprimente, in linea con le scene scarne di Stefano Pace, i costumi austeri di Françoise Raybaud, le luci tenebrose di Bruno Ciulli.

Tuttavia, nel complesso, la confezione è risultata coerente e professionale, garantendo a questa Lucia una sua pregevole e indubbia qualità, particolarmente apprezzata dal pubblico veronese.

Visto a Verona, Teatro Filarmonico, il 13 dicembre. In replica il 18 e 21 dicembre 2014

Lucia di Lammermoor
musica di Gaetano Donizetti
libretto di Salvadore Cammarano

(Lord Enrico Ashton) Marco di Felice
(Miss Lucia) Irina Lungu
(Sir Edgardo di Ravenswood) Piero Pretti
(Lord Arturo Bucklaw) Alessandro Scotto di Luzio
(Raimondo Bidebent) Insung Sim
(Alisa) Elisa Balbo
(Normanno) Francesco Pittari

direttore Fabrizio Maria Carminati
regia Guglielmo Ferro
scene Stefano Pace
costumi Françoise Raybaud
luci Bruno Ciulli
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona