Titolo centrale di una interessante programmazione dedicata al festival sul musicista romantico, la ripresa di Lucrezia Borgia è stato un successo grazie al lavoro di squadra del cast guidato da Carmela Remigio- Davide Annachini
Dei titoli in cartellone al Donizetti Opera 2019 di Bergamo, tra cui spiccavano due rarità quali Pietro il Grande e L’ange de Nisida, Lucrezia Borgia era sicuramente quello più noto, anche se proposto per l’occasione nella nuova edizione critica curata da Roger Parker e Rosie Ward, che assemblava alcune pagine scritte da Donizetti per edizioni successive alla prima scaligera del 1933 e separatamente già note.
In particolare, tra le tante revisioni approntate dal compositore bergamasco per teatri diversi e diversi artisti dell’epoca, quella presa a riferimento è stata la versione confezionata per Parigi nel 1840, dove protagonisti erano due divi leggendari, Giulia Grisi e Mario De Candia, coppia celeberrima sulla scena e nella vita per cui Donizetti scrisse alcuni pezzi a effetto. Non furono gli unici omaggi riservati agli interpreti più famosi (e capricciosi) della sua opera, che comunque si impose al di là di questi appuntamenti belcantistici come un melodramma assolutamente nuovo e sconvolgente.
Sicuramente la recente tragedia di Victor Hugo aveva ispirato Donizetti per un’opera dalle tinte cupissime, ma anche dalle melodie tenere e cullanti (che per l’appunto presero il nome di “cantilene”), in cui sembrava riscattarsi l’immagine satanica di Lucrezia, da sempre romanzata come una perversa avvelenatrice ma già all’ epoca in odore di redenzione e riabilitazione, come, da Maria Bellonci in poi, gli storici moderni avrebbero a loro volta confermato. Opera quindi di atmosfere, intrighi e situazioni travolgenti ma anche di melodie sublimi, di impagabile lirismo e destinate a ugole privilegiate. Non a caso il recupero di quest’opera, avvenuto mezzo secolo fa, ha potuto contare soprattutto su grandi primedonne – dalla Caballé alla Gencer, dalla Sutherland alla Devia – in grado di far rivivere il personaggio in tutta la sua grandezza, vuoi tragica vuoi virtuosistica, quasi come una conditio sine qua non. Ma la Borgia è soprattutto un lavoro perfettamente riuscito sotto il profilo teatrale, in grado di reggere anche quando al posto delle star si trova una compagnia agguerrita, in grado di fare squadra e di raccontare la vicenda della sinistra duchessa nelle sue pieghe più inconfessate di madre segreta, di vendicatrice e di perdente, in un mondo sanguinario e violento di cui è al tempo stesso carnefice e vittima.
A Bergamo è andata un po’ in questo senso, grazie a un’esecuzione che ha vissuto più sull’ insieme che sulla protagonista, riuscendo a trasmettere con coerenza e convinzione prima le qualità dell’opera che del solista. Carmela Remigio – seppure condizionata da certo impoverimento timbrico e di ampiezza vocale, cui ha saputo far fronte con l’abituale musicalità e intelligenza – è stata ad esempio una Lucrezia avvenente sulla scena e appassionata nella resa del personaggio, che in particolare nel finale ha toccato momenti di convincente intensità tragica, amplificata dalla regia con un imprevisto suicidio dagli spargimenti di sangue decisamente noir. Xabier Anduaga, voce emergente di tenore spagnolo per colore bellissimo, pastosità e sonorità, da rifinire però quanto a emissione nella mezzavoce e talvolta nell’ intonazione, è stato un Gennaro credibilissimo, in virtù di un canto dal lirismo ideale per le struggenti cantilene che caratterizzano il personaggio del sognante e inquieto figlio segreto di Lucrezia.
Marko Mimica, altra voce promettente di basso, ha dimostrato di dover mettere ancora a fuoco il registro grave (piuttosto ruvido) quanto quello acuto (un po’ sfocato) ma per il resto si è segnalato come un Don Alfonso credibile nell’ impatto vocale come nell’ autorità del personaggio, spietato ma con nobiltà. Nel ruolo en travesti di Maffio Orsini, il mezzosoprano armeno Varduhi Abrahamyan ha fatto valere qualità vocali suggestive e carattere d’interprete nella resa del compagno del cuore di Gennaro, che in quest’occasione è stato riletto come qualcosa di più di un semplice amico, come le esplicite effusioni gay lasciavano trasparire. I numerosi interpreti di contorno sono risultati intonati all’ insieme della compagnia, che ha trovato nella direzione di Riccardo Frizza uno specialista consumato del repertorio belcantistico, in grado di raggiungere l’effetto drammatico nel rispetto della delicata scrittura vocale, giocando molto sui colori e sulla misura delle intensità strumentali, grazie anche all’ottimo contributo dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, insieme a quello del Coro del Teatro Municipale di Piacenza preparato da Corrado Casati.
Lo spettacolo a firma di Andrea Bernard – dalle scene essenziali ma efficaci di Alberto Beltrame, dai costumi raffinati e decisivi di Elena Beccaro, dalle luci risolutive di Marco Alba – sembrava occhieggiare a registi francesi come Vitez o Chereau, per certe crudezze sceniche e certo ritmo sovraeccitato che hanno caratterizzato le loro memorabili interpretazioni di un Rinascimento fosco e sanguinario nella Lucrèce di Hugo dell’uno e nella Regina Margot dell’altro. Al di là di certi eccessi, lo spettacolo ha però funzionato per la cupa cifra tragica, l’attenta caratterizzazione dei personaggi, l’eleganza minimalista della messinscena, che hanno restituito una Borgia meno romantica e più graffiante, in grado di coinvolgere e appassionare un pubblico numeroso e generoso negli applausi finali.
Visto il 24 novembre al Teatro Sociale di Bergamo
foto Gianfranco Rota