Un’inaugurazione nel rispetto della tradizione per il Teatro Filarmonico. Donizetti vince su tutto, testimoniato dai calorosi applausi finali. Solida la direzione di Andriy Yurkevych e fedele con qualche cedimento la regia di Renzo Giacchieri. In spolvero l’Edgardo di Enea Scala, più convincente sul versante intimista Ruth Iniesta nel ruolo eponimo – Daviche Annachini
Il Teatro Filarmonico di Verona ha inaugurato la sua stagione con una Lucia di Lammermoor che non aveva forse la pretesa di dire qualcosa di nuovo quanto di assicurare un’edizione in tutto e per tutto nel rispetto della più consolidata tradizione. Una tradizione che sino ad una quarantina d’anni fa vedeva il capolavoro donizettiano ancora proposto con i secolari tagli di alcune parti, tornate a far parte delle moderne esecuzioni grazie alla riapertura di certe pagine davvero pregevoli, come il cosiddetto “duetto della torre” in cui i due protagonisti maschili – acerrimi nemici di famiglie rivali in lotta tanto in potere quanto in amore – si sfidano a duello tra le rovine di castelli gotici e l’infuriare della tempesta, in un perfetto clima Sturm und Drang che fa da sigla all’opera emblema del Romanticismo italiano in musica. E in queste suggestioni romantiche, attinte dal romanzo di Walter Scott, rientrano le estasi sentimentali, gli amori contrastati, le maledizioni, il suicidio e soprattutto la pazzia, che in quanto estraniamento da un mondo di dolore ha costituito da sempre la sigla di questo melodramma, una sigla purtroppo profetica anche sulla misera fine dello stesso Donizetti.
Sfrondare troppo l’opera da questi ingredienti a favore di un’urgenza drammatica che come decenni fa puntava a stringere più che a dilatare i tempi, ignorando che quello del belcanto è un mondo fatto di ampi respiri e di un linguaggio virtuosistico mai fine a se stesso, è una scelta piuttosto datata oltre che poco plausibile a livello filologico. Detto questo, la direzione di Andriy Yurkevych si è comunque fatta apprezzare per la solidità della tenuta esecutiva, complessivamente ben amalgamata tra orchestra e palcoscenico (buone le prestazioni degli organici areniani, con Michele Olcese alla guida del coro, anche se improntate a una prestazione sempre molto sonora più che sfumata) e nitidamente scandita nei fraseggi e nel disegno drammaturgico, finalizzato come si è detto più all’azione drammatica che alla contemplazione lirica.
Il ruolo di Lucia è da sempre destinato alla grandi virtuose nonché alle primedonne di razza: Ruth Iniesta è stata una protagonista convincente più ai punti che per ideale caratura vocale, vuoi perché non sempre purissima nel registro acuto – dove certe emissioni, soprattutto nelle puntature estreme suonavano talora sgranate, talora forzate – vuoi perché dal respiro contenuto quanto a virtuosismo e a rilievo tragico. Sicuramente ha trovato i suoi momenti migliori nel versante intimista, dove, grazie a un lirismo suggestivo e a un senso del legato particolarmente raffinato, ha avuto modo di delineare un personaggio fragile e sentimentale, quindi a suo modo credibilissimo. Ma questa edizione di Lucia meritava di essere ascoltata soprattutto per l’Edgardo di Enea Scala, tenore sempre più degno di attenzione per la vocalità ampia, penetrante, squillante sull’acuto e nitidissima nel fraseggio. È stata la sua un’autentica incarnazione dell’eroe romantico, appassionato e disperato, intemperante e struggente, di nobile rilievo e di canto impeccabile, come a dire che c’è ancora da sperare per quanto riguarda il tenore di marca italiana. Chiamato d’emergenza, Alberto Gazale è stato un Enrico convincente per il canto scultoreo e protervo, da antagonista cattivo senza ripensamenti di sorta, come invece lo stesso Donizetti volle farci credere in qualche sommesso e isolato rimorso dell’ultima ora nei confronti della sorella impazzita. Simon Lim ha restituito al personaggio di Raimondo un insolito rilievo, grazie a una vocalità di basso e ad una presenza scenica monumentali, mentre hanno assicurato la loro parte Enrico Zara come Arturo, Lorrie Garcia come Alisa e Riccardo Rados come Normanno.
Lo spettacolo a firma per regia e costumi di Renzo Giacchieri (scene e proiezioni di Alfredo Troisi, movimenti mimici di Barbara Pessina, luci di Paolo Mazzon) proveniva dal Teatro Verdi di Salerno e restituiva fedelmente la Scozia di cifra romantica, con ruderi e cimiteri decadenti immersi nelle nebbie più spettrali. Fin qui la messinscena poteva rispondere a una scelta di onesta tradizione, salvo optare poi per alcune interpretazioni registiche non sempre irresistibili, come le convulsioni demenziali di Lucia, come il forziere pieno di monete donato dal ricco Arturo quale dote di nozze e sul quale l’avido Enrico si getta, come il cordone a cui si attacca il furibondo Edgardo, non per chiamare la servitù ma per far crollare le insegne dei nemici prima di guadagnare la fuga, dopo aver maledetto tutti al funesto matrimonio dell’amata Lucia con il rivale Arturo.
Alla prima il pubblico è sembrato lasciarsi coinvolgere dalla tragica fiaba di Lammermoor e dall’incanto della musica, abbandonandosi in calorosissimi applausi finali che hanno fatto intuire come Donizetti abbia vinto sopra ogni altra cosa.
Visto al Teatro Filarmonico di Verona, il 26 gennaio 2020. Ultima replica domenica 2 febbraio 2020. Foto Ennevi
Lucia di Lammermoor
Dramma tragico in 3 atti di Gaetano Donizetti
Direttore d’orchestra: Andriy Yurkevych
Regia e costumi: Renzo Giacchieri
Scene e Projection design: Alfredo Troisi
Luci: Paolo Mazzo
Maestro del Coro: Vito Lombardi
Direttore Allestimenti scenici: Michele Olcese
Lord Enrico Ashton: Alberto Gazale
Lucia: Ruth Iniesta (26, 28/01); Enkeleda Kamani (30/01, 2/02)
Sir Edgardo di Ravenswood: Enea Scala (26/01, 2/02); Pietro Adaini (28, 30/01)
Lord Arturo Bucklaw: Enrico Zara
Raimondo Bidebent: Simon Lim
Alisa: Lorrie Garcia
Normanno: Riccardo Rados
Orchestra, coro e tecnici dell’Arena di Verona
Allestimento del Teatro Comunale G. Verdi di Salerno