Lisette Oropesa e Benjamin Bernheim hanno entusiasmato alla Scala come coppia formidabile in un recital raffinatissimo e all’insegna delle nuove generazioni musicali. Davide Annachini
Per una volta parliamo di opera non come spettacolo ma come concerto, non tanto nella veste di “opera in forma di concerto” – soluzione sempre più gettonata di questi tempi per confezionare un’esecuzione con star internazionali, altrimenti indisponibili per un lungo periodo di prove – quanto come recital vero e proprio, nel caso specifico addirittura un doppio recital. Tra i concerti straordinari della stagione del Teatro alla Scala di Milano si è segnalato infatti quello con il soprano Lisette Oropesa e il tenore Benjamin Bernheim, due cantanti in splendida affermazione internazionale. Statunitense lei, francese lui, entrambi rispondono alla nuova generazione di cantanti richiesti in tutto il mondo per il repertorio romantico italiano e francese, il più raffinato e difficile da risolvere. La Oropesa ha sdoganato una tipologia di soprano lirico-leggero impeccabile sotto il profilo tecnico-stilistico ma più moderno nell’approccio al genere “coloratura”, con un virtuosismo sempre espressivo, musicalissimo, sentimentale, che fa dei suoi personaggi – come nel caso del recente debutto romano in Sonnambula – un modello incantevole di interprete belcantistica. Da parte sua Bernheim – attesissimo come Werther in occasione del suo prossimo esordio scenico alla Scala – incarna il tenore romantico per eccellenza, quanto a delicatezza estatica ed eleganza vocale, sul modello lasciato vacante dall’insuperato Alfredo Kraus, che nemmeno un Florez è riuscito realmente a sostituire. Nessuno dei due vanta in realtà vocalità polpose o timbricamente preziose ma assolutamente ben agguerrite sotto il profilo tecnico, con una proiezione del suono calibratissima, più penetrante che voluminosa, più naturalmente sfumata che finalizzata all’isolato pianissimo a effetto. Per altro le loro voci si amalgamano perfettamente insieme per caratura, colore, duttilità vocali, oltre che per sensibilità espressiva, incline all’intimismo quanto all’estroversione brillante, come in questo concerto hanno rivelato la vis comica e l’affiatamento tra i due.
Lo si è capito immediatamente dal secondo duetto dell’Elisir d’amore, giocato sull’ebbrezza dello sprovveduto Nemorino e sul graffiante egocentrismo di Adina con grande spontaneità interpretativa e vivacità scenica, mentre in quelli del Rigoletto e del Roméo et Juliette (“Ange adorable”) si è imposta la cifra sentimentale, incantata e sostenuta da una linea vocale immacolata, vuoi nelle mezzevoci del soprano vuoi nel perfetto legato del tenore. Entrambi hanno poi dato il meglio nella passionalità del duetto di Saint Sulpice dalla Manon, come anche nel bis quasi sussurrato e con una splendida chiusa in pianissimo di “O soave fanciulla” dalla Bohème.
Singolarmente la Oropesa ha giocato le sue carte migliori nell’aria dai Masnadieri (opera con cui aveva fatto il suo fortunato debutto nella sala del Piermarini), come nell’aria dei gioielli del Faust, in cui ha fatto valere tutta la sua souplesse virtuosistica come i trilli granitissimi, per guadagnarsi poi il massimo successo nella struggente “Robert, toi que j’aime” dal Robert le Diable di Meyerbeer, magistralmente risolta con una levigatezza d’emissione, una fantasia nelle mezzevoci e nei pianissimi, una cadenza spettacolare per arditezza strumentale e precisione davvero superlative.
Bernheim, partito con una “Recondita armonia” dalla Tosca non del tutto nelle sue corde, ha in seguito trovato il suo terreno d’elezione nel repertorio francese come appassionato Des Grieux e sognante Nadir de Les pêcheurs de perles, dove in particolare il suo estatico “Je crois entendre encore”, tutto risolto in piano con un uso impeccabile della voce mista (memore dell’antica scuola di un Gigli o di un Gedda), ha scatenato un diluvio di applausi.
Dirigeva con passione e duttilità stilistica Marco Armiliato, a capo dell’ammirevole Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala, encomiabile realtà formata da giovani promettenti e talvolta entusiasmanti strumentisti (come l’applauditissimo violoncellista Andrea Cavalazzi ha dimostrato nel suo struggente assolo dalla sinfonia dei Masnadieri), che si è giustamente guadagnata la sua fetta di successo all’interno di una serata festosissima per le due star internazionali, da ritrovare quanto prima ancora in coppia.
Visto il 29 aprile al Teatro alla Scala di Milano