Corrado d’Elia ci restituisce la memoria di un grande regista, Giorgio Strehler, con un monologo sapiente, mai retorico, misurato e sempre ben distante dall’imitazione – Maria Grazia Gregori
Scegliersi un maestro, magari senza averlo conosciuto, ma avendone ascoltato, letto, riconosciuto le parole che ha detto, avendo amato gli spettacoli che ha fatto, anche se quelli che si sono visti sono pochi rispetto a una lunga storia teatrale. Corrado d’Elia chiude la stagione del suo teatro, il Teatro Libero, mettendo in scena una vera e propria scommessa, che nasce da un’idea anzi da una convinzione radicata: che bisogna conservare la memoria del passato, non per ripeterlo pedissequamente né per rimpiangerlo, ma sapendo che il senso della storia anche all’interno di un mondo apparentemente precario come quello del teatro permette di guardare oltre , di andare avanti forti di quella consapevolezza.
La scelta di d’Elia di raccontarci il “suo” Strehler, costruendo liberamente un itinerario attraverso le parole di un “signore della scena” del Novecento, scomparso ormai quasi diciassette anni fa poteva essere un azzardo, superato brillantemente con la mossa vincente di non “fare” Strehler, di non imitarlo in nessunissimo modo, di essere se stesso, in modo semplice e diretto. Quando mi parlò tempo fa di questo suo progetto, gli dissi subito “mi raccomando, niente retorica”, invitandolo a muoversi con attenzione nella grande messe di scritti, lettere, riflessioni, invettive che il grande regista ha scritto nel corso della sua vita.
Così ecco in questi giorni in scena al Teatro Libero Non chiamatemi maestro, un incontro intimo, pudico da mostrare al pubblico, che rientra all’interno di quelli che il regista attore chiama “Album”: emozioni da condividere, passioni da spartire, riflessioni che vogliono lasciare un segno. È un monologo in realtà pieno di voci per esplorare il mondo di Strehler, i suoi affetti più forti e più segreti: il padre perso da bambino, di cui ha sempre sentito dolorosamente la mancanza; l’amatissima mamma con cui ha condiviso gran parte della sua vita; le donne ma dovrei dire soprattutto le attrici adorate – Valentina Cortese, Giulia Lazzarini, Andrea Jonasson -; la casa di Barcola vicino a Trieste, sempre piena di voci e di musica; l’amore per la città natale, il ricordo dolceamaro dell’infanzia. Ma su tutto e tutti in questo lavoro che si snoda sull’onda dolce di una ben scelta colonna sonora, prende corpo l’amore divorante per il teatro, vera ragione di vita per Strehler, il ricordo di spettacoli chiave nella sua vita –Il giardino dei ciliegi, Re Lear, Faust, Cosi fan tutte, mai portata a termine -, la tensione verso un teatro umano che sapesse mettere al suo centro l’uomo con tutte le sue peculiarità, l’incontro con Paolo Grassi e la scelta di fondare insieme il Piccolo Teatro, l’amore per i suoi allievi della Scuola di Teatro chiamati teneramente “fratellini”. E insieme l’amore per la città d’elezione, Milano, il dolore di vederla cambiata, meno solidale, meno aperta, eppure per lui, sempre e comunque, bellissima, la passione politica evidenziata in una lettera -“Signor Presidente…” -, di una feroce attualità verso quell’atteggiamento così italiano di sminuire il valore della cultura invece di considerarla un bene primario del nostro Paese.
Semplicemente seduto su di un trespolo, a piedi nudi, un leggio per il copione da consultare ogni tanto, i giovani della scuola del Teatro Libero seduti sulle assi del palcoscenico, con rara misura, affetto e bravura senza mai deragliare nell’autocompiacimento, Corrado d’Elia riporta ogni sera fra gli spettatori la lezione di un maestro della scena così lontano, così vicino.
Visto al Teatro Libero di Milano. Repliche fino al 15 luglio 2014
Non chiamatemi maestro
liberamente tratto dagli scritti e dalle testimonianze di Giorgio Strehler
progetto e regia Corrado d’Elia
luci e fonica Alessandro Tinelli
fotografie Angelo Redaelli
scenografia e grafica Andrea Finizio e Chiara Salvucci
produzione Teatro Libero