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Nuovo Teatro: il dizionario minimo di Teatro Sotterraneo

Prima della pausa estiva Renato Palazzi ha pubblicato su questo sito uno stimolante articolo sulle prospettive di maturazione del teatro sperimentale e di ricerca italiano. Senza tuttavia tacerne rischi e passi falsi. Fra gli artisti che hanno risposto alle sollecitazioni del critico ricordiamo i Quotidiana.com, Tindaro Granata, Babilonia Teatri, ma anche critici e studiosi di teatro come Massimo Marino, Simone Nebbia e il gruppo della rivista Stratagemmi. Ecco ora il contributo di Teatro Sotterraneo, che ci pare faccia compiere al dibattito un ulteriore passo in avanti, individuando con lucidità alcuni dei nodi irrisolti del sistema teatrale italiano. In calce al contributo di Sara Bonaventura, Claudio Cirri e Daniele Villa troverete i link a tutti gli articoli precedenti. (e.f.)

Con colpevole ritardo e pessimo tempismo (settembre è traumatico per tutti e tutti hanno troppo da fare) partecipiamo alla discussione sul Nuovo Teatro con un dizionario minimo.

Ha ragione Palazzi, che da anni segue e monitora questi processi: è un momento di passaggio per molti gruppi, vitalità ed entusiasmo non bastano più. Ci teniamo però a dire che i gruppi lo sanno, e lo sanno da anni. E ci siamo trovati, e ne abbiamo parlato per ore e giorni ma ha vinto la confusione, amen.

Crescita poetica: è compito dei gruppi approdare a poetiche compiute, produrre opere linguisticamente mature, capaci di confrontarsi con pubblici più traversali. Questo si ottiene col lavoro, la dedizione, con un po’ di culo legato a spontanei incastri di zeitgeist e con la possibilità di fare ricerca con tempi ragionevoli, non a cottimo, non ad infinitum. Si può pure non farcela mai, è chiaro. Per questo le morti servono quanto gli exploit, Darwin docet. Per quanto ci riguarda Teatro Sotterraneo può sparire domani, la vera priorità di tutti sarebbe aver ottenuto più spazio per la ricerca nel sistema teatrale italiano, che almeno potremmo fare gli spettatori percorrendo meno chilometri.

Crescita volumetrica: perché qualcosa cresca devono sussistere determinate condizioni.Difficile aumentare scenografie e organici senza produzioni adeguate alle spalle. Difficilissimo farlo a proprie spese se poi la tournée risulta non sostenibile perché mal retribuita e/o fatta di pochissime date. Oggi le poetiche devono entrare in una monovolume, altrimenti non ce la fai a girare. Prima che qualcuno lo scriva: lo sappiamo che Van Gogh è morto povero, prometto di tagliarmi un orecchio per aver parlato della mancanza di soldi.

Prova del 9: in realtà però esistono già opere che per volumetrie, durata, uso dei riferimenti ecc. potrebbero affacciarsi al Mercato Teatrale. Opere dei gruppi che cita Palazzi: Anagoor, Fibre, Babilonia. Anche se siamo amici non conosciamo nel dettaglio la tournée di ciascuno di loro, ma ci sembra di poter dire che il Mercato Teatrale è abbastanza lontano – o no, ragazzi? Attendiamo smentite.

Crescita e ormoni: e se invece il sistema si fosse spontaneamente strutturato così? In fondo le misure di adesso rendono i gruppi agili, economici per cachet e schede tecniche, adattabili agli spazi, il che permette di riempire cartelloni di festival e stagioni teatrali periferiche (spesso per vocazione) mantenendo costi contenuti, quindi rientrando nelle limitate economie di cui queste strutture dispongono. Chiamiamolo “ormone della non crescita”: finché i gruppi mantengono queste dimensioni tutto questo ecosistema periferico (più votato alla ricerca) rimane ecosostenibile. Al tempo stesso: (1) molte strutture più istituzionali hanno l’alibi per non programmare certe proposte che di fatto non vogliono, adducendo problemi di scene/durata/cast oltre che di linguaggio e (2) molti gruppi hanno l’alibi per non confrontarsi con un tentativo di crescita esponenziale e il fallimento che può conseguirne. Potremmo chiamarlo stallo alla messicana, anche se è tutto molto italiano.

Sindrome (da Premio Scenario): forse è conseguenza diretta del punto precedente. Se la vita dei gruppi è praticamente solo nei festival o comunque in un circuito molto ristretto che per sua natura richiede la novità, l’inedito, la prima, ecc. va da sé che il ciclo vitale delle opere è ridotto. Un lavoro debutta in un festival, replica in altri 3, fa 5 teatri nella stagione successiva e poi è già “vecchio” per i festival dell’anno dopo – alcuni dei quali hanno finanziamenti vincolati al numero di prime nazionali programmate. Ne consegue che i lavori si spezzettano, o si riciclano o si dilatano in più percorsi perché l’alternativa sarebbe fare una produzione grossa ogni estate – impossibile per chi fa ricerca – e in capo a 5 anni avere un repertorio sterminato che magari non gira, oltre ad aver accumulato debiti per tre generazioni. Ne consegue anche che pochissimo pubblico reale ha visto queste opere, e molto pubblico potenziale è andato perso, il che è una sconfitta per tutti.

Studi: al di là di qualsiasi implicazione di sistema, noi rimaniamo favorevoli agli studi come momento di apertura spettacolare di un processo ancora in corso. A noi interessa verificare i materiali a pubblico, e ci piace assistere agli studi degli altri. Un esempio su tutti il percorso dei Babilonia con The End.

Classici: è vero, sono un ottimo strumento per mettere alla prova il proprio immaginario con qualcosa che è lì da decenni secoli millenni, con qualcosa che è integrato con l’immaginario di tutti e quindi è vasto per definizione. Al tempo stesso sono uno strumento d’accesso a certe programmazioni e un appuntamento per qualsiasi teatrante. Per quanto ci riguarda è una strada affascinante, a patto che troviamo in un classico un’urgenza che sia nostra e che lo sia adesso.

Contaminazione: per come la vediamo noi l’incontro fra artisti con percorsi diversi ha il carattere dell’esperimento puro, in cui il processo è rilevante quanto l’esito. Non è il featuring di tanta musica pop in cui prendi due nomi cool e li metti insieme in un clip: quello funziona perché c’è una ricetta. Alle nostre latitudini è più un banco di prova per una crescita umana e professionale. Se però ci aspettiamo in automatico opere più mature sulla base di collaborazioni allora postuliamo che i gruppi possano fare opere mature solo lavorando con qualcun altro. Per noi piuttosto l’apertura ad altri permette di fare cose che non avremmo altrimenti mai fatto, il che ci fornisce strumenti da riutilizzare nella nostra bottega, alla nostra maniera, su opere che sono solo nostre, senza la fragilità di una convivenza temporanea.

Pubblico: ma c’è domanda per il Nuovo Teatro? Oppure l’offerta è già in eccesso? E se non c’è, si può crearla? È questione di educazione, allenamento, formazione? Perché in altri paesi ricerca e tradizione hanno pari spazio/soldi/visibilità? Il pezzo di Palazzi ruota intorno ai gruppi, il che è sacrosanto. Però potremmo scrivere un pezzo speculare che interroghi critici, operatori e legiferatori sulle necessarie trasformazioni che sono/non sono in atto. Se siamo d’accordo che i processi d’innovazione chiedono agli artisti di crescere, maturare, aumentare qualità e complessità delle proprie opere, allora cosa chiedono a critica, programmatori e istituzioni?
Facciamo alcuni titoli (andiamoa memoria!, abbiate pietà): Made in Italy, Lingua Imperii, Dies irae, Lev, L’uomo della sabbia: queste opere potevano figurare nei cartelloni degli stabili di tutta Italia e fare una settimana di tenitura, oppure il pubblico ci avrebbe rincorso coi forconi e le colt? Queste opere potevano servire ad aprire mezzo spiraglio o avrebbero creato l’effetto opposto? Non è una domanda retorica. Se la risposta però è sì, allora perché non c’hanno praticamente messo piede?

Eppur si muove: rimane che certi processi sono in atto. Dal nostro parzialissimo punto di vista possiamo dire che abbiamo una serie di interlocutori che lavora in questo senso. Centrale Fies ha dato continuità esemplare nel sostegno ai gruppi e partendo da festival e Factory si sta aprendo a molteplici tipi di intervento culturale sul territorio. L’Associazione Teatrale Pistoiese sta sistematicamente affiancando alla stagione di prosa numerosi progetti di formazione e produzione/programmazione di opere che vengono dall’ambito della ricerca. La Pergola di Firenze sta progettando una produzione con 18 nuovi gruppi di area toscana. Il Teatro delle Briciole di Parma progetta a lungo termine produzioni per l’infanzia con gruppi di ricerca. Eccetera. Questo solo per citare alcune nostre collaborazioni continuative, ma il quadro è più ampio, esiste un nutrito insieme di strutture più o meno grandi che spingono per dare spazio a una maggiore biodiversità teatrale. Può darsi che la trasformazione sia in atto e non la vediamo bene perché ci siamo immersi.

Scusate la confusione.
Buona resistenza a tutti.
Teatro Sotterraneo

Leggi gli interventi precedenti di:
Renato Palazzi
Roberto Scappin (Quotidiana.com)
Babilonia Teatri
Tindaro Granata
Massimo Marino su BOBlog
Simone Nebbia su TeatroeCritica
Stratagemmi