Come spesso accade nel suo teatro, Stefano Massini è partito da un fatto di cronaca (sindacale) per raccontare il dilemma di un gruppo di operaie tessili, schiacciate fra il timore di perdere il lavoro e l’accettazione dell’ennesima vessazione padronale – Maria Grazia Gregori
La diversità dell’artista, gli anni terribili delle Brigate rosse, l’assassinio “misterioso” di un’eroica giornalista italiana, l’assassinio assai poco misterioso di una grande giornalista russa, ebrei che in un campo di sterminio si interrogano sull’atteggiamento di Dio che sembra avere abbandonato il suo popolo prediletto, tanto da intentargli addirittura un processo, la violenza della guerra etnica che fa perdere agli uomini il senso della loro umanità, il più grande crack bancario che ha coinvolto mezzo mondo i cui effetti si pagano ancora oggi… Fin dai suoi esordi il trentanovenne Stefano Massini, autore ormai rappresentato in mezzo mondo, alla ricerca di un teatro che per semplificare potremmo definire civile, si è interrogato sulle ingiustizie, le rovinose impotenze del nostro tempo, i delitti efferati che hanno reso difficile se non proprio del tutto invivibile la nostra epoca.
7 minuti, che ha debuttato all’Arena del Sole di Bologna, è un testo (pubblicato da Einaudi) che parla di lavoro, tema più che mai attuale di questi tempi in cui spesso la realtà della paura del futuro si trasforma in racconto della perdita del lavoro e con esso della sicurezza e della identità delle persone. Come ogni buon testo che tratti temi reali 7 minuti nasce da un fatto realmente accaduto ma, per così dire, trasfigurato in una narrazione del tutto personale. Il punto di partenza dell’autore è un una vicenda avvenuta nel 2012 in una fabbrica tessile di Yssingeaux nell’Alta Loira, dove le operaie decisero di ribellarsi alla richiesta dei nuovi proprietari che chiedevano loro un taglio di 7 minuti su di un intervallo di 15 considerandolo come l’inizio di una più profonda e globale minaccia ai loro diritti acquisiti. Partendo da questo fatto Massini è riuscito, dando voce a 11 personaggi, ad andare oltre il fatto puro e semplice suggerendone, per il nostro tribolato oggi, una possibile universalità.
Per farlo ha costruito il testo con un linguaggio secco, senza fronzoli, grazie al quale ogni donna si confronta con naturalezza con le sue compagne in un dialogo serrato, quotidiano, in cui ciascuna porta il proprio vissuto, la propria personalità, le proprie convinzioni, sperando di convincere le altre della bontà della propria tesi. Chi guida questa specie di autocoscienza collettiva è Bianca, la portaparola del consiglio di fabbrica della Picard &Roche, che poco alla volta conduce le altre dieci, all’inizio favorevoli ad accettare la richiesta pur di non perdere il proprio stipendio perché tutte hanno a casa i loro problemi, fino a una condizione di assoluta parità in cui tocca a una sola far pendere il piatto della bilancia per il si o per il no. Ma l’autore lascia il finale, aperto, sospeso. Ogni spettatore così può crearsi nella propria mente il suo, di finale.
7 minuti ha trovato in Alessandro Gassmann un regista che per sensibilità, intelligenza, attenzione si è sentito in sintonia con questa pièce che si svolge dal tramonto all’alba nello spogliatoio di una fabbrica, che illumina con la luce di un finestrone (scene di Gianluca Amodio) che ci permette di osservare lo scorrere del tempo, il passaggio dal buio della notte alla mattina. Del resto bastano qualche tavolo e poche sedie, degli armadietti di ferro dove le operaie ripongono le loro cose, per creare un ambiente semplice ma giusto per concentrare l’attenzione su queste donne che appartengono a paesi diversi, a religioni diverse: madri, figlie, mogli che cercano di raccontare se stesse tentando disperatamente di reagire alla paura del futuro e di trasmetterla a noi che la sentiamo in qualche modo anche nostra.
Alle attrici prescelte, di diversa formazione, Gassman chiede una recitazione fisica, sostenuta da una ficcante colonna sonora, di realismo quasi cinematografico, sottolineando la diversità dei personaggi con il modo diverso di “stare” in scena grazie anche al loro modo di parlare che la distribuzione (oltre alla protagonista Ottavia Piccolo, Eleonora Bolla, Paola Di Meglio, Silvia Piovan, Balkissa Maiga, Cecilia De Giuli, Olga Rossi, Stefania Ugomari Di Blas, Arianna Ancarani, Stella Piccioni, Vittoria Corallo) rispecchia in parte. Ottavia Piccolo, che con il teatro di Stefano Massini ha una frequentazione di lunga data, costellata di importanti risultati, è Bianca, l’operaia dalla vista più lunga come del resto più lunga è la sua esperienza di lavoro (30 anni!), personaggio che affronta con una penetrazione e un’intuizione molto forti offrendogli il senso di una traiettoria consapevole, in certo qual senso “madre” oltre che guida sicura.
Visto all’Arena del Sole di Bologna. In scena al Teatro Verdi di Padova fino al 30 novembre 2014. Foto di Ombretta De Martini
7 minuti
autore Stefano Massini
scenografia Gianluca Amodio
costumi Lauretta Salvagnin
light designer Marco Palmieri
musiche originali Aldo E Pivio De Scalzi
videografie Marco Schiavoni
regia Alessandro Gassmann
con Ottavia Piccolo, Paola Di Meglio, Silvia Piovan, Olga Rossi, Maiga Balkissa, Stefania Ugomari Di Blas, Cecllia Di Giuli, Eleonora Bolla, Vittoria Corallo, Arianna Ancarani, Stella Piccioni