Le vite degli altri in “Timeloss” e “Our secrets”

Due testi in apparenza distanti, quelli dell’iraniano Amir Reza Koohestani e dell’ungherese Béla Pintér visti al Festival di Santarcangelo. In realtà figli entrambi di realtà in cui la censura la fa/faceva da padrona. Due voci fuori dal coro, capaci di raccontare un inquietante, impietoso contraddittorio viaggio nel passato e nel presente – Maria Grazia Gregori

In apparenza i due spettacoli di cui voglio raccontarvi sembrano lontanissimi l’uno dall’altro e nulla nello stile, nella realizzazione pare legare il mondo claustrofobico, un duello a due fortemente soggettivo dell’iraniano Amir Reza Koohestani allo spaccato sociale molto variegato dell’ungherese Béla Pintér. In realtà entrambi sono costruiti, sia pure con linguaggi e modi diversi, sulle proibizioni e i ricatti di regimi dittatoriali e sulle loro conseguenze nel presente, su di una mancanza di libertà che rende le persone instabili, incapaci di prendere una decisione, bloccate nei loro slanci non solo amorosi in Timeloss (foto sotto) di Amir Reza, e sull’occhiuta, pervasiva attività spionistica del regime comunista ungherese nei confronti dei suoi cittadini, che il regista Béla Pintér, per la prima volta in Italia, cita platealmente con le due bobine del grande registratore che girano raccogliendo parole, frammenti della vita degli altri in Our secrets (foto sopra).

I personaggi, lui e lei, di Timeloss vengono dal lontano, magnifico Dance on Glasses visto anche in Italia e a Santarcangelo nel 2003. Vengono da una separazione di molti anni prima per poi ritrovarsi, quasi a voler cercare le ragioni di quel fallimento, di quella incapacità di agire, di quella sospensione della vita che ha segnato entrambi. La donna è in apparenza la più ribelle, la più scostante e fumando nervosamente sembra ascoltare con fastidio le continue domande dell’uomo che vuole capire perché, che non si rassegna all’impalpabile e invisibile, ma presente muro che separa lui da lei. Stanno seduti uno di fronte all’altra (li interpretano Mohmmahassan Madjooni e Mahin Sadri, bravissimi) a un tavolino in uno spazio vuoto, ma alle loro spalle scorrono le immagini di quello che sono stati, sempre lì però a tormentarsi, a interrogarsi, impossibilitati – si direbbe – a toccarsi, ad abbracciarsi come del resto proibisce il rigido codice religioso che guida i rapporti fra uomo e donna che non possono vivere gli slanci, le emozioni della propria sessualità perlomeno pubblicamente. Lo sottolinea del resto lo stesso regista in un suo pezzo intitolato Ciò che non diciamo ma si sente che in qualche modo sembra invitarci a scoprire il mondo segreto, il sottotesto che pervade lo spettacolo dove tutto sembra raggelato e invece ribolle, dove tutto sembra restare come prima e rendere inutile quell’incontro. Eppure se i due fossero stati capaci di andare oltre, di non rassegnarsi, di battersi… Cosa sarebbe successo allora? Il regista ci suggerisce alcune risposte che sono domande fra l’altro citando la ribellione degli studenti in seguito alle elezioni del 2009, soffocata con violenza dai lacrimogeni e dai manganelli dei poliziotti soprattutto di quelli alla guida di veloci motociclette, che costarono la vita alla giovane studentessa Neda e si chiede e ci chiede “cosa sarebbe successo se lei non fosse uscita di casa?”

Diverse sono le domande che si pongono i protagonisti di Our Secrets, i nostri segreti, apparentemente impegnati nel lavoro e nei circoli che tendono a ricostruire e rivalutare la musica e i balli magiari tradizionali , di cui tutti conoscono i passi e dove tutti o quasi sanno suonare uno strumento e cantare. Il palcoscenico ci rimanda l’immagine di una società apparentemente solidale, ma nel chiuso delle case la vita non è come appare. C’è un lui che non riesce più ad avere rapporti sessuali con la donna con la quale vive – colpa del lavoro o dei rapporti sociali poco gratificanti? – e c’è un lui che sembra innamoratissimo della donna con cui sta, un uomo pieno di energia, un animatore nato. In realtà il primo è un pedofilo e sogna solo di avere dei rapporti con la figlia bambina della sua compagna e l’altro, sciupa femmine in apparenza, in realtà è un segreto oppositore del regime. Il pedofilo si convince ad andare da una psicologa che gli rivela ciò che lui già sapeva. Ma il loro colloquio è registrato dalla polizia che ricatta l’uomo promettendogli l’immunità ma costringendolo alla delazione. Tutto precipita, però, quando – in seguito alla sua denuncia l’amico oppositore viene messo in prigione – e il pedofilo, sempre più ubriaco e abbrutito, ha modo di sfogare i suoi istinti anche sull’inconsapevole figlio di lui, dopo averlo drogato e poi, vinto dall’orrore di se stesso, si uccide. Un testo a forti tinte, ma estremamente sorvegliato nella sua realizzazione dal regista, autore nonché interprete, Béla Pintér forse un po’ vecchio nella sua impostazione “politica” ma ottimamente recitato.

Amir Reza Kooestani e Béla Pintér ci appaiono dunque, con meriti e risultati diversi, due voci fuori dal coro, entrambe con la capacità di raccontare un inquietante, impietoso viaggio nel passato e nel presente pur con tutte le loro contraddizioni, difficili da superare.

Visti al Santarcangelo Festival 2015

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