Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi

Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi

È bellissimo l’omaggio del Teatro delle Albe alla premio Nobel birmana per la pace. Un insieme armonico di drammaturgia, regia e recitazione. In cui spicca una straordinaria Ermanna MontanariMaria Grazia Gregori

Il nuovo spettacolo delle Albe, Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi – io – l’ho trovato bellissimo: per il tema prescelto, per il modo in cui è stato realizzato, per l’interpretazione, per l’omaggio ai propri maestri riconosciuti, per il coraggio di una scelta.

L’ideazione è di Ermanna Montanari e di Marco Martinelli che hanno realizzato il testo partendo dalla vita della grande resistente birmana Aung San Suu Kyi, figlia di un padre della patria, nemica della dittatura instaurata nel suo paese dai generali dopo l’assassinio del padre, ritornata nel suo paese a causa della cattiva salute della madre dall’Inghilterra dove ormai viveva e si era costruita una famiglia (non vedrà morire il marito e crescere i figli), consapevolmente rimasta in Birmania per non lasciare quello che considerava il suo posto accanto al popolo. Per il quale era diventata l’immagine stessa della libertà, un’icona, imprigionata e poi condannata agli arresti domiciliari (ventun anni della sua vita), aureolata del premio Nobel per la pace, liberata infine anche per l’intercessione delle democrazie occidentali, che oggi siede – unica donna – nel parlamento birmano, ma che non ne può diventare presidente a causa della clausola inserita ad hoc nella costituzione, secondo la quale non può essere eletto chi ha sposato uno straniero. Una storia, la sua, che ha scosso anche gli animi talvolta sonnolenti della nostra affluente civiltà, dove l’immagine di questa donna delicata con i fiori tra i capelli è diventata famigliare.

La drammaturgia, sempre di Montanari e Martinelli, costruita sulla fiorente letteratura e le biografie scritte su questa donna non violenta la cui vita è stata costellata di scelte difficili e la regia profonda e incisiva di Martinelli ci rappresentano quella parte di vita di Aung San Suu Kyi legata ai lunghi arresti domiciliari cui è stata sottoposta, inserendola in un sorprendente impianto brechtiano mai rigido o autoreferenziale ma percorso – oserei dire – dallo spirito del luogo, da una capacità notevole di ricreare quel clima, quell’aria, che nasce sicuramente dal viaggio compiuto in quel paese prima di realizzare lo spettacolo ma anche da una sintonia, da un’ammirazione profonda per la piccola signora che non teme di sfidare i suoi carcerieri. La regia scandisce la vicenda in diciotto quadri, sottolineati dalla musica del luogo o da una musica rock ribelle, dove i temi affrontati in ogni quadro vengono riportati nel titolo riprodotto sul fondale che chiude la scena, dove peraltro passano le immagini dei personaggi legati alla storia rappresentata e filmati che ci riportano spezzoni di episodi significativi: manifestazioni represse nel sangue, la felicità del popolo di Rangoon per la liberazione, avvenuta nel 2010, di quella che i generali chiamano con disprezzo Giovanna d’Arco.

Lo spazio dell’azione, invece, suggerisce gli interni di una casa birmana spesso deserta, con solo i pensieri, i ricordi o la presenza di un geco a fare compagnia alla protagonista. Dentro questo contenitore colmo di significati, Martinelli costruisce uno spettacolo fortemente politico, dove percepiamo chiaramente la presenza di Brecht – (citato con la proiezione di un suo scapestrato ritratto giovanile, che appare anche in scena a dire in tedesco i celebri versi ripetuti dalla donna: “le fatiche delle montagne sono alle nostre spalle, davanti a noi stanno le fatiche delle pianure”) –, ma anche intimo, a cercare di catturare il segreto della forza di Aung San Suu Kyi, non solo per l’approccio ai temi ma anche per il modo di rappresentarli. Per esempio con l’esagerazione grottesca e tuttavia mai superficiale e immediatamente riconoscibile dei generali, stolidi, inquietanti individui dagli atteggiamenti caricati nella loro smania di potere, pronti a divorarsi lo spazio intero del palcoscenico che solo la piccola donna, apparentemente fragile ma fortissima, sa difendere come un rifugio, una tribolata ma forte isola di libertà.

Strettamente legata a questo impianto drammaturgico, registico, visivo dove domina il buio spesso rotto da lampi improvvisi di luce, è l’ottima interpretazione degli attori (Roberto Magnani, Alice Protto, Massimiliano Rassu con l’incursione scenica di Fagio, solitamente prezioso tecnico del suono delle Albe) che vi si inserisce armoniosamente, scandendo perfettamente la storia. Volutamente lascio per ultima Ermanna Montanari, di cui vorrei rendere anche solo minimamente la bellissima interpretazione: attrice che siamo abituati a vedere misteriosa e determinata come una lama, che qui non dimentica certo chi è, ma sa raggiungere con una freschezza e una leggerezza commoventi quella impalpabile, ma fortissima delicatezza che è del suo personaggio tanto da assomigliargli fisicamente, rendendoci del tutto naturali i piccoli gesti, l’ironia sottile (valga per tutte l’intervista con la giornalista di Vanity Fair), l’inquietudine che sa trasformarsi in durezza della “sua”, ma anche nostra, Aung San Suu Kyi.

Visto al Teatro Rasi di Ravenna. Repliche fino al 14 dicembre 2014. Qui il resto della tournée

Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi
di Marco Martinelli
ideazione: Marco Martinelli e Ermanna Montanari
con: Ermanna Montanari, Roberto Magnani, Alice Protto, Massimiliano Rassu
incursione scenica: Fagio
musica: Luigi Ceccarelli
spazio scenico e costumi: Ermanna Montanari
assistente ai costumi: Roberto Magnani
luci: Francesco Catacchio, Enrico Isola
montaggio ed elaborazione video: Alessandro Tedde, Francesco Tedde
realizzazione suono: Edisonstudio Roma
tecnico del suono: Fagio
elementi di scena realizzati dalla squadra tecnica del Teatro delle Albe: Fabio Ceroni, Enrico Isola, Danilo Maniscalco
realizzazione maschere: Antonio Barbadoro
capi vintage: A.N.G.E.L.O.
sartoria: Laura Graziani Alta Moda
consulenza linguistica: Aung Naing Lin
direzione tecnica: Enrico Isola
foto di scena: Enrico Fedrigoli
ufficio stampa: Matteo Cavezzali, Rosalba Ruggieri
organizzazione e promozione: Marcella Nonni, Silvia Pagliano, Francesca Venturi
regia: Marco Martinelli
produzione Teatro delle Albe – Ravenna Teatro in collaborazione con ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione
Prima nazionale VIE Scena Contemporanea Festival, Teatro Herberia, Rubiera, 24 ottobre 2014