Elena Russo Arman non punta a replicare sulla scena le ansie, le tensioni, le passioni della grande poetessa Emily Dickinson ma riesce a offrirci tutta l’inquietudine e il senso del suo personaggio – Maria Grazia Gregori
Non si tratta di poesia. O meglio non si tratta solo di poesia. Piuttosto è la vita di Emily Dickinson che prende forma poetica e che deflagra sul palcoscenico dell’Elfo Puccini con La mia vita era un fucile carico, con l’interpretazione di Elena Russo Arman che ne ha curato anche la drammaturgia e la regia.
Un palcoscenico che è una stanza con una scrivania, una scala di corda che sale verso l’alto sulla quale talvolta si dondola l’attrice , quasi una fuga verso il cielo, evasione mentale di una grandissima poetessa che aveva eletto a suo mondo quello spazio intimo in cui si poteva rispecchiare tutto: il cielo, il lavoro dell’ape, i prati di trifoglio, proiezioni fantastiche e mentali del mondo di fuori al quale inviava lettere rimanendone ai margini. Lettere affettuose, dure, critiche, vagamente morbose scritte da chi pensava che la propria vita potesse essere “un fucile carico” che però non aveva mai sparato. Del resto nell’universo claustrofobico e immaginario della Dickinson il mondo di fuori appare come una costruzione, allo stesso tempo, fantastica ma anche fortemente e – mi viene da dire – dolorosamente reale. Non so se il suo corpo si ribellasse a questa autoesclusione, il pensiero certamente sì e lo faceva attraverso la continua lotta nei confronti di qualsiasi autorità, fosse quella paterna, fosse quella di Dio e da questa ferita, da questa irreparabile dicotomia nasceva la sua poesia. E la sua scrittura.
La mia vita era un fucile carico è il risultato di un vero e proprio viaggio che l’attrice-drammaturga-regista ha compiuto per diventare Emily Dickinson. Un viaggio che si è concretizzato in alcune performances e in una bella mostra che accoglie gli spettatori prima di entrare nella sala Fassbinder. Un viaggio di sapore stanislavskijano che ha significato la conoscenza dei luoghi, ma soprattutto la conoscenza interiore e profonda del senso della parola dickinsiana. In questo viaggio che l’interprete, vestita di bianco (colore prediletto per la sua purezza dalla poetessa), compie è accompagnata dalla chitarra elettrica live di Alessandra Novaga, anche lei vestita di bianco, che talvolta partecipa ai tentativi impossibili di abbattere le pareti della stanza da parte di Russo Arman/Dickinson dando l’impressione che a lei tocchi la visualizzazione sonora dei temporali, delle ribellioni, delle angosce che hanno costellato la storia di Emily nel vivere una vita che non aveva mai contemplato la possibilità di una quotidianità cosiddetta normale, tutta chiusa dentro la poesia, nelle migliaia di lettere scritte e in rarissimi affetti.
Spettacolo che ha un suo fascino cerebrale, La mia vita era un fucile carico ha in Elena Russo Arman un’interprete sensibile ed efficace di cui vorrei sottolineare, al contrario di quanto potrebbe significare il sottotitolo della pièce, il non “essere” in scena Emily Dickinson, ma di offrirci, dentro e fuori, l’inquietudine, il senso del suo personaggio.
Visto al Teatro Elfo Puccini di Milano. Repliche fino al 23 aprile 2015
La mia vita era un fucile carico
(being Emily Dickinson)
da Emily Dickinson
traduzioni di Silvio Raffo e Margherita Guidacci
regia di Elena Russo Arman
musiche di Alessandra Novaga
con Elena Russo Arman e Alessandra Novaga
scene e costumi di Elena Russo Arman
realizzazione costumi di Ortensia Mazzei
luci di Cristian Zucaro
suono Giovanni Isgrò
consulenza suono Giuseppe Marzoli
produzione Teatro dell’Elfo