L’Arena di Verona ricorda il centenario di Zeffirelli con la sua piccola Aida

Erede dei più fastosi allestimenti del grande Maestro dell’opera lirica, l’Arena di Verona commemora il centenario di Franco Zeffirelli con la sua Aida “mignon” al Teatro Filarmonico, in attesa di ricordare anche i cento anni di Maria Callas. Davide Annachini

Il centenario della nascita di Franco Zeffirelli è stato ricordato dalla Fondazione Arena di Verona, che possiede il numero più cospicuo di allestimenti firmati dall’artista fiorentino, con un’edizione di Aida davvero controcorrente per la tradizione colossal del festival veronese, presentata nella confezione “mignon” creata nel 2001 per il piccolo teatro di Busseto, paese natale di Verdi. Come già per la “mini-Traviata”, pensata dopo tante messinscene fastose per lo stesso teatrino parmense, Zeffirelli dimostrò la sua genialità di maestro del palcoscenico nel saper ridurre e scremare una delle sue opere più amate, che – dal romantico allestimento pompier firmato per la Scala insieme a una scenografa indimenticabile come Lila De Nobili sino alle imponenti messinscene realizzate per Tokyo, di nuovo per la Scala e per la stessa Arena – trovò in questa Aida “piccola piccola” una delle sue interpretazioni più toccanti.

Restando fedele ad una tradizione oleografica ottocentesca questo spettacolo, limitato a poche statue faraoniche e ad alcuni fondali dipinti (costumi di Anna Anni, luci di Paolo Mazzon, coreografia di Luc Bouy), impose al regista-scenografo di anteporre alla spettacolarità l’intimismo dell’opera, tanto presente quanto abitualmente disatteso nell’ossidata abitudine a vedere nel melodramma scritto per l’apertura del Canale di Suez solo il trionfalismo celebrativo. Di conseguenza i rapporti interpersonali del triangolo Aida-Radames-Amneris quanto quelli tra il potere inesorabile dei Faraoni e l’amore clandestino e impotente dei due protagonisti rappresentarono la chiave di lettura della regia di Zeffirelli, esaltando la qualità più alta ed ispirata della musica di Verdi. E la celeberrima marcia trionfale? L’impossibilità di farne un tableau grandoperistico venne superata con l’abile espediente di mettere il coro di spalle a salutare il corteo dei reduci vincitori senza doverlo portare in scena ma semplicemente lasciandolo intuire all’immaginazione degli spettatori. Così Aida, sola al proscenio, poteva esternare tutta la sua disperazione nel contrasto tra dolore per la sconfitta del suo popolo e felicità per il ritorno dell’amato vincitore degli Etiopi.

La singolarità di questa proposta stava nel fatto che non solo la messinscena risultava ridimensionata ma anche la stessa partitura, in cui ai tagli dei ballabili più famosi (la danza dei moretti e quella del Trionfo) si aggiungevano quelli di alcuni incisi strumentali. La cosa – di per sé apparentemente discutibile – veniva a giustificarsi col fatto che sull’onda dell’estremo successo dell’opera, in seguito alla prima del 1871 al Cairo ma soprattutto dopo la prima scaligera di qualche mese successivo, venne confezionata una versione ridotta di Aida, sia nell’organico orchestrale sia nelle dimensioni dell’intera composizione, per permettere anche ai teatri minori di mettere in scena un’opera divenuta in breve popolarissima.

L’esecuzione al Teatro Filarmonico trovava il suo punto di forza nella direzione misurata, calibratissima e intimista di Massimiliano Stefanelli, in grado di obbligare gli organici areniani a ripensare all’opera più collaudata del loro repertorio con sonorità e colori più sommessi e controllati. Nel cast, forse non memorabile ma molto calato nell’operazione, spiccava l’Aida di Monica Conesa, soprano di voce un po’ torbida e diseguale nel timbro ma abilmente emessa a servizio di un personaggio dalle molte sfumature e di indubbia personalità espressiva, valorizzato anche dalla suggestiva presenza scenica. Ivan Magrì è stato un Radames eroico anche se tendenzialmente altisonante, capace comunque di offrire all’interno di un canto muscoloso qualche inaspettata sorpresa, come la suggestiva filatura prescritta da Verdi sul si bemolle finale di “Celeste Aida”.  Amneris di bella figura e personalità, Ketevan Kemoklidze ha mostrato i momenti migliori nel registro acuto rispetto a quello un po’ sordo e opaco medio-grave, mentre Youngjun Park ha assicurato un solido Amonasro, Antonio Di Matteo un valido Ramfis, Romano Dal Zovo un funzionale Re, Riccardo Rados un vibrante Messaggero, Francesca Maionchi una suggestiva Sacerdotessa ed Eleana Andreoudi la danzatrice dei ballabili sopravvissuti nella scena del tempio.

Il pubblico ha apprezzato questo ultimo omaggio al grande Zeffirelli, voluto a conclusione del suo mandato di sovrintendente da Cecilia Gasdia come saluto finale di un brillante percorso artistico in cui il Maestro è stato ripetutamente e affettuosamente ricordato. Ma il 2023 vedrà anche il centenario di un’altra leggenda del melodramma come Maria Callas e in questo caso l’Arena dovrà prevedere un ricordo all’altezza di quella che fu la più celebre artista lanciata dal teatro veronese e adottata dalla città stessa.

Visto al Teatro Filarmonico di Verona il 19 febbraio