Il trentennale dei Ballets de Monte-Carlo offre l’occasione per riflettere sulla poesia coreografica di Jiri Kylian, invitato d’onore alla festa di compleanno della compagnia. Cui non ha mancato di portare un nuovo regalo- Silvia Poletti
Le feste di compleanno sono riuscite se ci sono tanti amici a celebrare la ricorrenza e se si ravviva la serata con delle sorprese scapricciate. Per questo i Ballets de Monte Carlo possono dire di aver celebrato la loro trentesima stagione nel miglior modo possibile: addirittura con un cadeaux, ideato per l’occasione, niente meno che da Jiri Kylian -il supremo maestro della danza del nostro tempo. Un bijou che viene ad arricchire la serata che a sua volta la compagnia, diretta da Jean Christophe Maillot, ha dedicato completamente al mondo visionario dell’autore praghese: uno scambio di affettuose cortesie di cui ha beneficiato soprattutto il pubblico ( a partire dalla patronessa della compagnia, la principessa Caroline); una immersione nelle visioni intrattenibili ma penetranti della danza bella e intensa di Kylian, artista capace di ascoltare i tumulti dell’anima e distillarli in ideogrammi di carne, i corpi dei danzatori asciugati nelle linee – forgiate nelle rette e nelle sinuosità che offre il corpo e che l’autore sviluppa nello spazio con quell’inconfondibile fluidità di tratto che ricorda l’amata pratica della calligrafia.
Sovente, osservando le creazioni che Kylian ha firmato soprattutto dalla metà degli anni ’80 in poi, è stato naturale paragonare la sua scrittura coreografica agli haiku giapponesi: come loro infatti punta all’essenza, al ‘catturare’ la percezione e a metterla in una forma – la danza- che è per definizione costantemente mutevole. Ancora di più questa idea si rafforza guardando Gods and Dogs, creato nel 2008 per l’ NDT2 ( la compagnia under 21 del Nederlands DansTheater). Sparisce ogni possibile screziatura cromatica. Tutto volge al perlaceo o, altrimenti, all’oscurità. Sparisce anche ogni elemento scenico, salvo una candela, in proscenio e una tenda di frange scintillanti, che ad un certo punto inizieranno a ondeggiare, creando l’effetto visivo di un pulviscolo, fagogitante ogni figura in scena –realizzando con questo un singolare effetto di smaterializzazione. Il titolo contrappone specularmente Dei e Cani, come a dire le due facce estreme dell’essere umano, capace di eccelse vette spirituali ma anche di incontrollabili impulsi animaleschi. E mentre una fiera ci corre incontro minacciosa,seppure proiettata sulle teste dei danzatori, una di loro sparisce nella buca dell’orchestra ( tornerà?) mentre gli altri tracciano fragili percorsi in scena – soli, a coppia, talvolta in gruppo. I corpi si tendono, protesi in fughe presto bloccate; i volti si distorcono in espressioni di angoscia o stupore. Il flusso delle immagini è in continua dissolvenza. Il tutto è cadenzato dalla partitura musicale, della quale Kylian fa uso magistrale – e molti dovrebbero analizzarne le modalità per comprendere come si può relazionare movimento e musica e fare l’una l’alma emotiva dell’altro.
Il controverso modulare del violoncello di Dirk Haubrick, colpito, pizzicato, percosso si riflette nelle sincopi del movimento; nelle contratture, nello stop and go con cui la dinamica si impunta. Poi, l’arrivo del Quartetto op 18 di Beethoven apre il cuore e lo spirito ad una dimensione di armonia, bellezza, afflato poetico: la danza riprende anch’essa respiro, scorre fluida e le linee diventano meravigliose. Ma una coreografia che è molto altro deve rivelarci qualcosa di più di chi la concepisce. Ecco allora che nuovamente, come nella vita quando la felicità di oscura di nuove tensioni, i suoni di Beethoven si inquinano, distorcono nelle vette aguzze dei suoni di Haubrick, e i movimenti tornano a piegarsi, a fremere: non c’è che un passo tra inferno e paradiso.
Forse un sipario, come quello che cala, di tanto in tanto, in Bella Figura, ormai considerato il capolavoro della Renaissance kyliana, dopo il celebre periodo black and white degli anni ’80. Anche qui il gioco è tra essere e apparire – tra il danzatore e l’essere umano che deve mettere la maschera- ma anche tra maschile e femminile e la beatitudine della bellezza sovraumana che si contrappone alla corporeità grottesca. Un capolavoro misterioso perché i frammenti di cui si compone – dipanati su alcune magnifiche pagine barocche da Vivaldi a Marcello- sono come frammenti volatili di un immaginario che si condensa nel corpo umano qui celebrato nella sua bellezza ( e per questo dunque anche nudo) grazie anche alla beatitudine celeste di una danza sublimata, lieve e intensa, immaginifica e astrale.
Basterebbero questi due gioielli per fare della serata dei Ballets de Monte Carlo un evento, anche grazie alla bravura e alla notevole intelligenza interpretativa dei danzatori, perfettamente compresi nel mondo Kylian. Ma si diceva della sorpresa. Ed eccola. Un video di 4 minuti -con annessa coreografia – per il direttore Maillot e la sempre affascinante Bernice Coppieters: una piéce d’ occasion in cui Kylian recupera due dei temi che oggi lo interessano di più: l’uso del virtuale e il lavoro con interpreti over 40, ma sempre carismatici. Smorfie, vezzi, vizi e dispetti di una coppia in sala prova -con cane perplesso che si aggira nei paraggi, da cui il titolo Oskar: frammenti di vita quotidiana, con lui che si sente un Re Sole con tanto di boccoli a cascata ( Maillot è invece notoriamente calvo) e lei friccicarella e dispettosa, capace di colpi proibiti verso il suo maestro/aguzzino ma anche di seduttive svenevolezze.
Un divertimento che, senza soluzione di continuità scorre nell’estroso Chapeau, ispirato ai memorabili cappelli della Regina d’Olanda Beatrice, per il cui giubileo il brioso lavoro venne creato nel 2005 con il NDT. Incartati come cioccolatini, con squillanti cappelli replicati dall’atelier privato di Beatrice, i danzatori si muovono sui ritmi funky e r&b di Prince. E mentre si ricorda il musicista scomparso da pochi giorni, veniamo rapiti dal suo ritmo e dai giochi calibrati dei ballerini in scena, trasformati ora in una chorus line da musical, ora in una classe di discoli, ora come i boys di Rene Jeanmarie con i ventagli al posto delle piume, intorno a una Bernice, maestra di cerimoniea surreale con tanto di giostra di girandole in testa. Il lato scuro della vita si stempera nell’humour graffiante e bizzarro di Chapeau: si ride alle misuratissime trovate, al ritmo da comica del muto, alle gag briose da commedia ‘slapstic’. Anche se dietro al ventaglio scarlatto a tratti sembra spuntare la creatura in rosso di Bella Figura. Misteriosa, lontana, inafferrabile, ma ammaliante. Bella come un verso di poesia fatto umano dalla danza di Jiri.
Visto al Grimaldi Forum, Monaco il 28 aprile 2016
Le foto di apertura e della gallery sono di Alice Blangero, cortesia BdMC