Solo in scena come nei delicati monologhi in cui raccontava la femminilità calabrese violata, Saverio La Ruina veste i panni di un omosessuale del sud che si racconta davanti alla tomba della madre morta. Coraggioso, ironico e commuovente, imprime un segno forte alla pièce grazie a una gestualità mai retorica, a una sicurezza senza sicumera, a una sorvegliata sensibilità, a un sentimento così poco esibito da sembrare vero – Maria Grazia Gregori
Il nuovo spettacolo di Saverio La Ruina della compagnia Scena Verticale di Castrovillari, Masculu e Fìammina (maschio e femmina) in scena al Teatro Studio Melato di Milano, prima volta dell’attore calabrese al Piccolo è, allo stesso tempo, coraggioso, ironico e commovente.
Da solo nell’emiciclo del teatro, infatti, in un bellissimo e a volte misterioso dialetto calabrese ci racconta la storia di un ragazzo che scopre a poco a poco, a dodici anni, di essere omosessuale magari amando i film con il muscoloso Steve Reeves oppure affascinato dalle gambe, dalla fisicità dei compagni di scuola. Quello che racconta è già stato vissuto, con i dolori, le piccole gioie, i silenzi, le paure, le violenze, la ricerca di un amore vero, il desiderio di essere accettati, che sbatta nella spazzatura quel finto perbenismo – in realtà una forma di razzismo non solo linguistico – che sta racchiuso nel termine “diverso”. “Diverso da chi?” si chiede con rabbia ma anche con ironia il protagonista. E questa domanda è alla base dello spettacolo.
Siamo in un cimitero freddo, coperto di neve. Qui un uomo, dopo aver deposto un mazzo di fiori sulla tomba della madre, decide di “parlare” con lei che è morta. Una madre affettuosa, discreta, che forse ha intuito senza chiedere mai, ma con squarci di sincerità –ricorda lui – come quel “statti attiantu”, stai attento, quando usciva o quella frase pronunciata a mezza voce di fronte a quel figlio che non mangia, che sta zitto, che soffre quando gli dice che le piacerebbe sapere chi è quel “cornuto” che lo fa essere così. E poi silenzio, solo silenzio. Ma adesso che la madre è morta – e il figlio le chiede se Gesù, la Madonna, San Pietro si sono fatti vivi con lei nell’al di là – l’uomo trova finalmente le parole per dire la sua verità, le parole che non ha mai detto. E il racconto si snoda febbrile, irrefrenabile, storia della vita di un uomo qualunque, che ha conosciuto il segreto, le offese, qualche delusione come quella ai tempi di Lotta continua e del Collettivo Carlo Marx dove si sente rifiutato proprio perché omosessuale, e Vittorio, Angelo, il professore, fino all’amore grande, quello con Alfredo. Alfredo vittima di una spedizione punitiva, Alfredo che muore. La sorella e i genitori di lui lo invitano a Treviso come migliore amico del ragazzo morto ma sono pronti a sparire, lasciandogli una grande amarezza quando, tornato in Calabria, gli manda una lettera raccontando l’amore che c’è stato fra lui e Alfredo.
Masculu e Fìammina non accusa nessuno fuorché, con accorata pacatezza, l’ignoranza e il pregiudizio. Ci parla di una grande solitudine, di un mondo chiuso, di silenzi che non si possono riempire, di un grande punto di domanda sulla vita. A dargli voce, pensiero e presenza c’è Saverio La Ruina. Solo, inchiodato da un occhio di bue dai contorni non definiti, l’attore rappresenta il suo personaggio senza dargli una banale rilevanza formale. Il senso della sua forte, incisiva interpretazione, infatti, sta tutto nella gestualità mai retorica, in una sicurezza senza sicumera, in una sorvegliata sensibilità, in un sentimento così poco esibito da sembrare vero. Da vedere.
Visto al Piccolo Teatro di Milano. Repliche fino al 18 dicembre 2016
Masculu e Fìammina
di e con Saverio La Ruina
musiche originali Gianfranco De Franco
collaborazione alla regia Cecilia Foti
scene Cristina Ipsaro e Riccardo De Leo
disegno luci Dario De Luca e Mario Giordano
audio e luci Mario Giordano
organizzazione Settimio Pisano
produzione Scena Verticale
Il primo reading in fieri è stato presentato a settembre 2015 nell’ambito del festival Garofano Verde di Roma.