Lo Shakespeare crepuscolare di La Tempesta trova una nuova versione coreografica per Aterballetto a firma Giuseppe Spota. Che però preferisce non tuffarsi a fondo nei marosi di Shakespeare. Silvia Poletti
Ciclicamente il teatro di danza si è accostato alla Tempesta shakespeariana. Dei vari titoli del drammaturgo, “che forniscono già di per sé materia per un balletto” per dirla con Stendhal, questo probabilmente intriga per il preponderante aspetto magico. Non a caso, è stato uno dei primi ad essere in qualche modo tradotto, nell’Ottocento romantico. Poi dal Novecento ha visto altre riprese ( da Glen Tetley a Nureyev, da Fabrizio Monteverde e Crystal Pite), più ricche e complesse via via che il coreografo ha preso consapevolezza della propria forza autoriale e ha potuto essere supportato da esegesi e chiavi di interpretazione stimolanti, per trovare una porta d’accesso all’illusorio mondo di Prospero. Che è appunto quanto di più elusivo e sfuggente, perché creato dalla forza mentale del protagonista di questo romance crepuscolare, che -come si sa- grazie ai suoi sortilegi riunisce sull’isola dov’è esule con la figlia Miranda il fratello usurpatore e i suoi sodali per compiere, forse, finalmente vendetta.
La struttura del testo shakespeariano parte proprio da questo fatto: dal rappresentare la conclusione di una vicenda che di fatto è già avvenuta, dal tirare i fili di un plot i cui esiti si dipanano davanti ai nostri occhi. Percepiamo dalle parole di Prospero la sofferenza e l’umiliazione, ma anche la lucida, stanca consapevolezza della vanità del potere – che pure esercita, su Ariel ( che più volte gli chiede la libertà), su Calibano. E’ lui che giganteggia in questa girandola di eventi ‘finali’: racconta il passato, evoca visioni e illusioni, guida l’amore di Miranda e Ferdinando, suscita tenpeste fittizie.
Curioso che nella Tempesta di Giuseppe Spota,nuovo lavoro a serata ( 75 minuti) per Aterballetto – debutto assoluto nel tempio strehleriano, con la mitica Giulia Lazzarini in platea- il coreografo non abbia sentito la necessità di cogliere la sfida di una costruzione coreografica e narrativa metaforica e articolata, così come suggerisce il testo teatrale, dove mostrare il suo talento registico, espressivo e compositivo ( per di più lo ha aiutato in drammaturgia uno sceneggiatore cinematografico conosciuto come Pasquale Plastino).
Si è invece scelto di riposizionare i fatti per ordine temporale e dar loro uno svolgimento diacronico, fin dalla scena iniziale che racconta attraverso un video poi in scena la rivalità e la lotta per il trono di Milano con il fratello traditore che costringerà Prospero e sua figlia a prendere il mare. Da lì uno sviluppo quasi didascalico della vicenda, in una malintesa idea che appunto la danza non possa che essere aneddotica e per poter farsi capire. descrivere mimeticamente i fatti per quelli che sono.Naturalmente questa è una sciocchezza; come si sa schiere di coreografi/drammaturghi hanno saputo mostrarci le infinite possibilità di racconto che ci sono nel linguaggio coreografico. Ma evidentemente questa linea si attaglia alle predilezioni del coreografo, che più che al tratteggio psicologico, sembra interessato alla più rassicurante descrizione di superficie, all’effettismo, alla trovata teatrale, non così originale magari ma comunque efficace: come l’uso dei servi neri da teatro giapponese che muovono specchi e praticabili descrivendo marosi e flutti nella tempesta; e ancora che fanno volare Ariel.
E infatti ogni tanto Spota si distrae e perde il filo e lo fa perdere anche a noi: chi è davvero al centro di questa Tempesta? Prospero? Calibano? Il loro rapporto? Miranda? Ad un certo punto l’andamento si sfalda e sceglie di procedere per scene ‘chiuse’ , quasi a se stanti: a volte troppo lunghe ( la scena del duello dei fratelli; la tempesta iniziale) a volte troppo brevi ( l’assolo di Ferdinando), correndo repentinamente verso un finale che sembra giustapposto e sa di cesura più che di catarsi.
L’indulgenza verso l’effetto coreografico e la forma estetizzante, rassicuranti alla vista ( e infatti fa colpo sul pubblico la danza afro, all’unisono, tra Stamping Ground e Grupo Corpo di Calibano e i suoi) porta anche a non esigere una vera e meditata drammaturgia musicale, che invece sarebbe stata di grande aiuto. Si è chiesta – chissà perché- la partitura musicale a Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, il quale si limita a fare appunto dei quadri sonori ‘chiusi’ tra ambient, folclore, etnica che di fatto non hanno tra loro nessuna vera coesione interna, contribuendo a mantenere solo di superficie questa interpretazione coreografica. Peccato perché la danza in quanto tale ha dei momenti efficaci – il duello dei fratelli, la scena della tempesta ( anche se lunga), l’incontro con Calibano, il duetto tra Ferdinando e Miranda – ma è come se in fondo sia sfuggito il focus del lavoro, così come l’attenzione alla coerenza visiva.
Al di là della scelta di un’ambientazione cupa e terrigna ( Dov’è il Mediterraneo e l’abbagliante luce di cui si parla nel testo?), c’è una eccessiva giustapposizione di segni ( i bimbi del video vestiti in abiti vittoriani; gli adulti in elisabettiani), né aiutano i costumi, tra cui quello di Ariel – una cuffia color carne e una specie di palandrana a frange di rafia- è purtroppo davvero malriuscito.
Spota è ancora giovane ma ha nel suo carnet già alcuni riconoscimenti internazionali importanti. E’ stato giusto che la compagnia da cui è partita la sua carriera professionale ( ora quasi tutta tedesca) gli abbia dato questa opportunità. Ma ha molto da approfondire, davvero, se vorrà dedicarsi alla danza drammatica.
Da parte loro i solisti di Aterballetto sono sempre valenti, a partire da Hektor Budla e Damiano Artale, Prospero e Antonio, l’impalpabile Serena Vinzio come Ariel, il luminoso Giulio Pighini come tenero Fernando e Martina Forioso come Miranda. Primeggia il fascinoso Calibano di Philippe Kratz, per il quale sì che si percepisce l’empatia del coreografo. Non di meno grande successo da parte del pubblico milanese, ottimo viatico per la tournée che toccherà varie piazze in estate e soprattutto nella prossima stagione teatrale.
nella foto di Viola Berlanda Budla/Prospero e Artale/Antonio
Visto a Milano, Piccolo Teatro Strehler, il 12 giugno 2018
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