Il nuovo assolo del geniale Jan Fabre, il primo scritto in italiano per l’ottimo Lino Musella, ci consegna l’incrollabile certezza che il teatro sia il solo luogo (mentale, creativo, fisico) che nell’epoca del virtuale sia riuscito a conservare la sua spiritualità – Maria Grazia Gregori
È tornato a Milano, alla Triennale, Jan Fabre con un assolo tutto nuovo, in cui si racconta, si rivela, si nasconde, ci provoca, ci affascina ma per interposta persona. In questo spettacolo, Giornale notturno, scritto in italiano, Fabre raccoglie per noi i frammenti di un giornale notturno grazie al quale scandisce lungo anni, date e luoghi, i suoi pensieri, le sue riflessioni, le sue scoperte. Preferisco però il titolo inglese che dice Lo scrittore notturno: del resto più volte Fabre ha dichiarato che molte sue idee per degli spettacoli nuovi, molte riflessioni, molti pensieri sull’arte contemporanea e sul modo di concepirla, li fa di notte, quasi fossero una compagnia privilegiata della sua insonnia e delle sue lunghe veglie.
Per questo suo viaggio scandito dai titoli di suoi scritti poi magari diventati spettacoli o semplicemente da un’intuizione, da un improvviso sguardo sulle cose o sulle persone, Fabre si è scelto un alter ego che si annuncia, vestito di nero, come se entrasse a viva forza nel quadro oscuro in cui avverrà la performance e dove si distinguono un tavolo, una sedia, una lampada, bicchieri, uno schermo che sta alle spalle dell’interprete, che continuamente si accende una sigaretta. Questo alter ego è Lino Musella, interessante attore che ama spesso esibirsi in spettacoli fuori dagli schemi consueti, ricco di estro e di intelligenza. È dunque lui a entrare, letteralmente, nel quadro buio della scena come un ginnasta in cerca di un impossibile equilibrio. Ci si potrebbe aspettare, a questo punto, di assistere a una performance, ma non è così. In questa serata scandita, martellata da riflessioni, da improvvise illuminazioni, di inquiete domande, di osservazioni urticanti, quando non crudeli, Musella è la maschera e il megafono dell’autore. Con voce mai esagerata, una voce che scandisce “Anversa 7 febbraio 1978” e così via e che si interroga quasi come se Musella che legge, che racconta come meglio non si potrebbe Fabre, si ponga e ci ponga delle domande che probabilmente e giustamente non avranno risposta perché nulla è più segreto, nulla è più misterioso del pensiero di un artista soprattutto poi se, come qui si dice, è un organo vivente che “sgocciola sangue”.
Del resto il teatro di Fabre è lontano le mille miglia da un teatro border line di facciata, apparentemente senza regole ma, al contrario, costruito su di una rigorosa e ferrea disciplina e questo corpo – in questo caso ci viene da dire questo pensiero – che parla, che piange, che trasuda liquidi, visionario, decadente, triste, eclettico, eretico, sociopolitico, in fin dei conti vorrebbe “farsi” tutti gli attori per troppo amore, per troppa divorante passione.
La voce e il racconto di Musella scandisce alcuni titoli: La reincarnazione di Dio, l’Angelo della morte, Io sono sangue, La storia delle lacrime ecc., che si mescolano ad altri titoli, a fatti familiari,come i rapporti intimi fra padre e madre che il figlio cerca di ricomporre, mentre la canzone di Frank Sinatra “My way” gli permette di mettersi in sintonia con il loro mondo. Ascoltando le sue parole è possibile penetrare dentro l’officina artistica di questo inventore di teatro, performer, coreografo, artista visivo che se ne infischia dei generi avendoli profanati tutti e che mantiene l’incrollabile certezza che il teatro sia il solo luogo (mentale, creativo, fisico) che nell’epoca del virtuale sia riuscito a conservare la sua spiritualità. Per questo scolpisce, prepara mostre, disegna con la sua bic blu, inventa regole per poi distruggerle per sentirsi fino in fondo un servitore di sogni, della bellezza. Per questo non esita ad affermare di trovarsi infantilmente a suo agio fra il sudore, lo sperma, l’urina e la voglia di toccare e di gustare tutto ciò che gli veniva proibito da piccolo. Una forma di amore scandalosamente totalizzante per la scena come ci viene mostrato nell’ultimo quadro, nel vagare sull’acqua di un gabbiano verde di plastica. Chissà forse soltanto per smarrirsi nelle acque del mare di Anversa.
Visto al Triennale Teatro dell’arte di Milano. Foto Valeria Palermo
The night writer. Giornale notturno
Regia Jan Fabre
Con Lino Musella
Produzione Troubleyn / Jan Fabre e Aldo Grompone
Coproduzione FOG Triennale Milano Performing Arts, LuganoInScena LAC (Lugano Arte e Cultura), Teatro Metastasio di Prato, Teatro Piemonte Europa, Marche Teatro, Teatro Stabile del Veneto-Teatro Nazionale