Continua la ricognizione degli spettacoli del Rossini Opera Festival con riprese d’eccezione, grandi interpreti e una autentica sorpresa – Davide Annachini
Al Rossini Opera Festival edizione numero 40 un successo convinto ha accolto la ripresa del Demetrio e Polibio, uno spettacolo del 2010 a firma di Davide Livermore, che, a confronto con la prima partitura scritta da un Gioachino appena quattordicenne, aveva giustamente optato per una messinscena tutt’altro che classica quanto liberamente ispirata a un mondo di fantasmi teatrali che prendevano vita tra le tavole del palcoscenico a spettacolo finito. Soluzione che tornava funzionale a un melodramma sorprendente per la maestria dell’autore-fanciullo (un autentico piccolo Mozart di casa nostra) ma inevitabilmente convenzionale nel soggetto, in quanto ancora legato al tipico cliché coturnato dell’opera seria tardosettecentesca.
Tra atmosfere notturne, fuochi fatui e suggestioni neoclassiche (belli i costumi realizzati insieme alle scene minimaliste dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Urbino), lo spettacolo ha trovato una sua impronta grazie anche ai quattro bravissimi protagonisti, Jessica Pratt, una Lisinga inizialmente un po’ sfocata ma in grado di lanciare poi i suoi mirabolanti fuochi d’artificio nella virtuosistica aria finale, Cecilia Molinari, un Demetrio-Siveno di bella pasta mezzosopranile e di felice credibilità nel “travesti”, Juan Francisco Gatell, come sempre tenore di rara eleganza ed espressività nei panni di Demetrio-Eumene, Riccardo Fassi, un Polibio impeccabile per nobiltà scenica e vocale, in virtù di una giovane voce di basso tra le più preziose in circolazione per colore, timbratura, omogeneità. Paolo Arrivabeni ha diretto con misura l’esecuzione, facendo valere la sua esperienza anche di fronte a due organici non sempre inappuntabili, come la Filarmonica Gioachino Rossini e il Coro del Teatro della Fortuna M. Agostini, preparato da Mirca Rosciani.
L’autentico successo del Festival si è rivelato però L’equivoco stravagante, anch’esso uno dei primissimi lavori dell’esordiente Pesarese e tra quelli ingiustamente meno rappresentati, perché sia per il libretto spassosissimo di Gaetano Gasbarri – in cui pullulano i doppi sensi piccanti e l’“equivoco” architettato sulla protagonista, spacciata addirittura per un castrato – sia per un Rossini che dà letteralmente fuoco alle polveri – creando quella comicità surreale, tutta fatta di nonsense e iperboli, tipica dei suoi futuri capolavori buffi – l’opera venne ritirata dalla censura già alla terza recita e probabilmente guardata con imbarazzo anche nel secolo scorso.
A Pesaro c’era la compagnia ideale per dar vita a un lavoro così scopertamente goliardico, con Teresa Iervolino (Ernestina), sontuosa voce di contralto rossiniano perfettamente calata nei panni di un’ingenua con velleità intellettuali, con Paolo Bordogna (Gamberotto), buffo irresistibile per qualità esecutive, dizione, comicità, con Davide Luciano (Buralicchio), baritono di strepitosa salute vocale e impagabile verve scenica, con Pavel Kolgatin (Ermanno), tenore giustamente delicato e sognante nei panni dell’amoroso, con la coppia scatenata – anche nell’approccio amoroso – dei due camerieri, Claudia Muschio (Rosalia) e Manuel Amati (Frontino).
La direzione di Carlo Rizzi, vivace e comunicativa, ha fatto il resto, con l’ottimo sostegno dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e del Coro del Teatro Ventidio Basso. La coppia registica Moshe Leiser-Patrice Caurier, che alla Scala non aveva troppo convinto con la Giovanna d’Arco inaugurale di un paio di stagioni fa, qui invece ha centrato il segno grazie ad uno spettacolo (scene di Christian Fenouillat, costumi di Agostino Cavalca, luci di Christophe Forey) di grande ritmo, ironia, caratterizzazione dei personaggi, esente da volgarità gratuite e sottolineature grottesche a favore di una regia tutta giocata sulla musica.
E tra tanti eventi collaterali, come l’immancabile Viaggio a Reims dei giovani dell’Accademia Rossiniana, cantate e recital vocali, il Festival ha voluto festeggiare i suoi primi quarant’anni con un fastoso Gala, in cui – insieme a un soprano di prima grandezza come Angela Meade, in una delle sue rarissime apparizioni italiane – il sovrintendente artistico Ernesto Palacio è riuscito a convocare, da esperto ex-tenore rossiniano, il Gotha dell’attuale tenorismo belcantistico, a cominciare dall’attesissimo Juan Diego Florez, impegnato in brani del Tell, per arrivare agli straordinari Sergey Romanovsky e Lawrence Brownlee, a loro volta alle prese con pagine rossiniane tra le più improbe a fianco di tanti eccellenti colleghi di casa a Pesaro, per una festa vocale da suggello ad una manifestazione come al solito irrinunciabile. (2. fine)
In apertura una scena de L’equivoco stavagante