Prossima al secolo di attività, l’Arena di Verona ha mantenuto fede con la sua 99^ edizione al livello artistico che l’ha resa celebre nel mondo, grazie in particolare a una vetrina di star liriche di prestigio internazionale, in primis la grande Anna Netrebko – Davide Annachini
Prossima a festeggiare il secolo di attività, l’Arena di Verona ha mantenuto fede con la sua 99^ edizione al livello artistico che l’ha resa celebre nel mondo e che in questi ultimi anni ha ritrovato – a dispetto anche delle difficoltà dovute alla pandemia – uno smalto talvolta appannatosi nel tempo. La direzione di Cecilia Gasdia ha puntato a garantire un’offerta di prim’ordine quanto a voci e al ritorno delle star a Verona come nei tempi d’oro del festival, assestandosi invece nel caso delle messinscene sulla garanzia del nome di Franco Zeffirelli, di cui l’Arena detiene il maggior numero di produzioni teatrali. E anche se alcune di queste risentono ormai degli anni e di un utilizzo portato ai limiti, oltre alla prevedibile tradizionalità delle concezioni registiche, non si può negare che assicurino un effetto teatrale di grande impatto e di immancabile successo per un pubblico tuttora fortemente popolare.
Che poi la Carmen oleografica in odore di Gustave Doré o la Turandot fiabesca, tutta lacche e cineserie, possano risultare più risolte rispetto alla Traviata in formato casa di bambola di gusto pompier o all’Aida in tubi metallici dorati e piramidi girevoli è questione di gusti, e di gusti ovviamente rapportati a quelli di Zeffirelli, ultimo grande maestro di un teatro di cui si è praticamente persa traccia.
Di conseguenza, se dal lato sulla messinscena non c’era nulla di nuovo da dichiarare, su quello vocale si potevano selezionare alcune serate da non perdere, grazie a cast forse tra i migliori che si potessero ipotizzare a livello internazionale. In un’estate torrida la sorte ha voluto purtroppo che il maltempo andasse a compromettere i piani, facendo saltare un Nabucco di lusso e privando un’Aida memorabile dei suoi ultimi dieci minuti, forse i più belli dell’opera, ma per il resto le cose sono andate a buon fine nel segnalare alcuni momenti veramente da ricordare.
Tra questi figurava senz’altro l’Aida che vedeva il ritorno a Verona della grande Anna Netrebko, star delle star come ha riconfermato in questa occasione, in cui, dopo un avvio forse non completamente a fuoco, ha conquistato di colpo con il terzo atto il livello della fuoriclasse assoluta. Nei celebri “Cieli azzurri”, pagina difficilissima per la necessità di un canto alato e lunare spinto all’impresa impossibile di un do acuto in pianissimo (come richiesto dallo stesso Verdi), il soprano russo ha sfoggiato un’emissione di celestiale purezza, risolvendo il passaggio temerario con una scalata dolcissima al do – e con una lunghezza di fiato impressionante – che più per il virtuosismo ha conquistato per l’estrema poesia e incanto, nel restituire all’aria la sua cifra legittima mai ascoltata prima dal vivo in misura così superba. A seguire tutto il resto della parte è stato gestito con altrettanta bravura – insieme a una resa scenica di una femminilità tra il sensuale e il felino – anche se è venuto a mancare a causa della pioggia il duetto finale, in cui i momenti stellari si sarebbero sicuramente ripetuti.
Al suo fianco, compagno sulla scena come nella vita, Yusif Eyvazov è stato un Radames di luci e ombre, le une per il fraseggio nitidissimo e la personalità di un Radames tanto eroico quanto sentimentale, le altre per l’accentuarsi di certe disuguaglianze timbriche, un po’ aride e gutturali, che hanno da sempre contraddistinto questo tenore, per altro interessantissimo. Olesya Petrova è stata un’Amneris di ricca vocalità in alto quanto talvolta rauca in basso, ma con finezze vocali soprattutto nei piani per lo più inedite alle tradizionali interpreti virago di questo ruolo. Di lusso la partecipazione di Amartuvshin Enkhbat, baritono tra i primi nella lista per la vocalità ampia e la tecnica di antica scuola, che hanno contribuito alla resa di un Amonasro insolitamente nobile e misurato. Buoni il Ramfis di Rafal Siwek e il Re di Simon Lim, insieme a Francesco Pittari (Messaggero), Yao Bohui (Sacerdotessa) e ai ballerini Ana Sophia Scheller, Eleana Andreoudi, Alessandro Staiano, impegnati nelle coreografie di Vladimir Vasiliev a suo tempo create per Fracci, Bolle, Kamara.
La direzione di Marco Armiliato – al di là di certe lentezze e di una cauta incisività – ha dimostrato la sicura padronanza della situazione, grazie anche al contributo dell’Orchestra e del Coro dell’Arena (preparato da Ulisse Trabacchin), come anche nella successiva Traviata, risolta con mestiere e talvolta con una certa accondiscendenza nei confronti del cantante di turno, magari portato ad allagarsi un po’ troppo arbitrariamente nei tempi.
In Traviata l’interesse maggiore era incentrato sul debutto areniano di uno dei più autorevoli baritoni d’oggi, Ludovic Tézier, che nella parte di Germont padre ha regalato una lezione di canto, impeccabile nel legato e nella tenuta dei fiati, di fraseggio, in un italiano per di più perfetto e scolpitissimo, di stile, per la nobiltà e l’autorevolezza dell’espressione. Un’autentica interpretazione di riferimento, la sua, che al momento non sembra trovare confronti a livello internazionale. Diverso il caso del popolare Vittorio Grigolo, tenore di smalto e vocalità tuttora ragguardevoli, ma come sempre abbinati a un’animosità interpretativa che tende spesso a strafare e che ormai è diventata un cliché irrinunciabile (insieme alle immancabili gigionate al momento dei ringraziamenti), con il risultato di restituire più che l’Alfredo del caso il personaggio Grigolo tout-court, mattatore ad oltranza. Dopo la polemica defezione del soprano di colore Angel Blue per via del blackface utilizzato in Arena in opere come Aida (con tutto il seguito di polemiche internazionali che in America hanno trovato sostegno nell’inflessibile censura all’insegna del politically correct), il ruolo della protagonista è tornato all’interprete della prima, il soprano armeno Nina Minasyan, Violetta di vocalità forse non ampia per le vastità areniane ma molto duttile nei piani e nelle colorature, oltre che di suggestiva credibilità espressiva, in grado di realizzare un personaggio convincente e spesso toccante. Prevalentemente stagionato il versante delle parti di fianco (Lilly Jorstad, Matteo Mezzaro, Roberto Accurso, Dario Giorgelé, Francesco Leone, Max René Cosotti, Stefano Rinaldi Miliani), che per quanto piccole hanno modo di potersi distinguere in un’opera come questa, e bravi i protagonisti delle danze delle zingarelle/mattadori Eleana Andreoudi e Matias Santos, per le coreografie di Giuseppe Picone.
Con Turandot si è ritrovata la coppia Netrebko-Eyvazov, che già aveva debuttato nell’opera pucciniana proprio in Arena e che ha riconfermato il successo dell’anno scorso. Lei per l’incredibile capacità di gestire una parte vocalmente ipertesa e rischiosissima in maniera del tutto personale, con una rotondità e morbidezza di suono incredibili e con il calore caldo e pastoso del timbro, lui per la nobiltà del fraseggio e per la sicurezza vocale, che gli ha permesso di concedere il bis – senza nemmeno troppe insistenze – del “Nessun dorma” e di riscattare abilmente le già citate carenze timbriche. Il loro successo era praticamente garantito e alla fine condiviso con l’ottima Liù di Maria Teresa Leva, raffinatissima per i filati puri e cristallini, meno con l’usurato Timur di Ferruccio Furlanetto, insieme al terzetto delle maschere (Gezim Myshketa, Matteo Mezzaro, Riccardo Rados), al valido Imperatore di Carlo Bosi e al Mandarino di Youngjun Park.
Nuovamente Marco Armiliato è stato più un affidabile conduttore che un interessante interprete, sostenuto dalle prove valide – anche se non ancora pienamente carburate alla prima – dell’orchestra e del coro areniani. Immancabile comunque il successo popolare, pari a una festa a tutti gli effetti, a conferma di come l’Arena porti a testa alta la garanzia di una qualità e di una tradizione tuttora inossidate e che anche dopo un secolo non sembrano venire meno nell’affetto del pubblico.
Visto all’Arena di Verona il 28, 30 luglio – 4 agosto 2022