Il diluvio universale di Donizetti a Bergamo, ovvero la sostenibilità di un’opera rara

Recupero interessante di un Donizetti dimenticato al festival bergamasco, riuscito solo a metà – per un’opera già di per sé instabile – grazie ad un’esecuzione musicale di livello non in dialogo però con una messinscena debordante e fortemente contestata. Davide Annachini

Il Festival 2023 del Donizetti Opera – in concomitanza con la nomina di Bergamo e Brescia a capitali della cultura italiana – si incentrava sul recupero di alcuni titoli rari, quando non addirittura rarissimi, del compositore bergamasco, allineando ad Alfredo il Grande e alla versione francese di Lucia di Lammermoor, il desueto Diluvio universale, le cui riprese dal 1830 ad oggi si contano davvero sulle dita di una mano.

Composta per il San Carlo di Napoli come opera “quaresimale”, quindi legata a un soggetto biblico in forma oratoriale, incentrato cioè sulla coralità e privo del divertissement delle danze, il Diluvio universale andò in scena il 6 marzo 1830, con una prima funestata da alcuni incidenti di percorso e dallo scarso entusiasmo da parte del pubblico, tali da segnare il destino di questa trentaduesima fatica donizettiana, che nell’Ottocento conobbe una sola ripresa quattro anni dopo, in una versione riveduta per Genova, città dove sarebbe tornata nel Novecento per la prima ripresa moderna del 1985, seguita solo di recente da un paio di esecuzioni all’estero e da altrettante restituzioni in disco. Che non si potesse parlare di capolavoro fu lo stesso Donizetti a capirlo – nonostante il Diluvio ambisse ad essere nelle intenzioni la sua risposta al celebre Mosè in Egitto rossiniano, andato in scena sempre a Napoli dodici anni prima – tant’è che pensò bene di riciclare i temi più interessanti dell’opera in lavori successivi, come l’imminente Anna Bolena, la salottiera cavatina per soprano “Ne ornerà la bruna chioma” e curiosamente la Fille du régiment, dove l’inno solenne di Noè si sarebbe trasformato addirittura nel goliardico coro militare “Chacun le sait”.

In realtà alcune pagine di qualità sono emerse dall’ascolto dell’opera al Teatro Donizetti – riferita alla versione originale di Napoli -, in particolare in certi momenti corali legati alla figura di Noè, incapaci però di trovare risposta in quelli più convenzionali destinati agli altri personaggi, anche se è stato soprattutto lo squilibrio tra parte sacra e parte profana – incentrata sul triangolo amoroso Sela-Cadmo-Ada – a rivelare l’autentico punto debole di questo lavoro, drammaturgicamente discontinuo per non dire sbilanciato e di difficile coinvolgimento teatrale.

L’occasione restava comunque molto interessante per recuperare l’ennesimo tassello di un autore inesauribilmente sfaccettato come Donizetti e sicuramente l’edizione bergamasca presentava tutte le carte in regola per figurare musicalmente, a partire dalla direzione stilisticamente consapevole e profondamente convinta di Riccardo Frizza, in grado di restituire compattezza e respiro alla partitura, sostenendone i punti più deboli grazie anche al valido contributo dell’Orchestra Donizetti Opera e del Coro dell’Accademia Teatro alla Scala preparato da Salvo Sgrò. Perfettamente centrato il terzetto vocale, che purtroppo all’ultima recita ha dovuto fare i conti con un calo di voce del protagonista – il bravo Nahuel Di Pierro – sostituito coraggiosamente dal giovane basso Alessandro Abis, vocalmente ancora acerbo per la parte di Noè (ruolo scritto per il leggendario Luigi Lablache) ma in grado di salvare la situazione, doppiando in un angolo con il leggio il titolare impegnato a recitare sulla scena in playback. Giuliana Gianfaldoni ha affrontato la parte impegnativa di Sela con voce sempre rotonda, limpida, svettante e virtuosisticamente sicura, restituendo carattere, grazie allo slancio espressivo e alla bella presenza scenica, a un personaggio tendenzialmente monocorde nel suo dolente vittimismo, mentre Enea Scala nel ruolo del depravato Cadmo ha dominato una scrittura quanto mai scomoda con la sua vocalità atipica di baritenore, sfoggiando come sempre una personalità d’interprete veemente e appassionato di grande rilievo nel contesto dell’esecuzione. Discreta l’Ada di Maria Elena Pepi, giovane allieva della Bottega Donizetti, come buona parte degli interpreti dei ruoli minori.

In un festival monografico che ha tra le sue priorità il recupero del Donizetti meno noto, forse certe rarità meriterebbero una messinscena rispettosa della musica o quanto meno sensibile nell’aiutare il pubblico alla comprensione di un’opera sconosciuta e talvolta drammaturgicamente faticosa, come per l’appunto questa. Non sembra però che la musica, per quanto rara o bellissima, rientri al primo posto nella politica del festival bergamasco, che tende sempre a privilegiare esperienze registiche, talvolta fini a se stesse e per lo più prevaricanti, già a partire dall’esterno del teatro. Se l’anno scorso per La Favorite si sono viste processioni della Madonna davanti alla facciata del rinato Donizetti, quest’anno ad aspettare l’entrata del pubblico in teatro c’era un drappello di mimi in veste di ecologisti, che con i loro poncho impermeabili e le loro facce scure facevano già intuire come il tema del diluvio sarebbe stato declinato in chiave tutt’altro che biblica. E così è stato poi per lo spettacolo, incentrato su una sequela ininterrotta di filmati sulla pesca di frodo, su fagiani spennati, su gelatine orgiasticamente violentate, mentre in scena protagonisti e coro faticavano a trovare una loro identità nel prevalente immobilismo frontale della recitazione. In questo horror vacui visivo, molto più cinematografico che musicale, lo spettacolo – a firma della nutrita équipe costituita dal duo MASBEDO (Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni, coadiuvati per la drammaturgia visiva da Mariano Furlani) per progetto, regia in presa diretta, costumi, da Scene 2050+, da Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco per i movimenti scenici, da Fiammetta Baldiserri per le luci – ha guardato a portare avanti una sua idea ispirata alla sostenibilità, che a conti fatti è risultata molto scollata dall’opera e in totale dissonanza con la musica, riscuotendo a quanto pare sonori dissensi da parte del pubblico alla prima.

Calmato il diluvio, all’ultima recita quantomeno la componente musicale ha ricevuto il suo giusto consenso, caloroso e meritatissimo.

Visto al Donizetti Opera di Bergamo il 3 dicembre