Agosto di stelle in Arena, tra forfait e sorprese di qualità

Nonostante la rinuncia da parte di qualche star, il festival veronese ha portato in dirittura d’arrivo un’edizione da ricordare per qualità e prestigio, con esecuzioni sempre diverse per cast, che in Rigoletto hanno visto una gara tra baritoni di prim’ordine. Davide Annachini

Programmato come un agosto costellato di star internazionali, l’Arena di Verona Opera Festival ha dovuto fare all’ultimo i conti con alcune defezioni di voci famose, cosa ormai comune a tutti i teatri, dove le celebrità lasciano spesso a bocca asciutta i fan disposti a pellegrinaggi da tutto il mondo, talvolta infruttuosi. Ma, anche senza l’Aida della Netrebko e della Rebeka (che per altro doveva debuttare nel ruolo), la Violetta e la Gilda della Sierra, il Don José di Beczala, la Gilda di Erin Morley, l’Arena ha comunque garantito un livello di alta qualità alle sue esecuzioni, spesso rivelatesi più equilibrate rispetto a quelle concentrate su un nome di richiamo, grazie a sostituzioni sempre di livello e più omogenee rispetto al resto del cast.

Per Traviata ad esempio si è avuta un’edizione ottimamente riuscita grazie all’arrivo nel ruolo della protagonista di Gilda Fiume, soprano di vocalità lirico-leggera, dall’impasto rotondo e luminoso, in grado di assolvere perfettamente le agilità e il mi bemolle del primo atto ma soprattutto di commuovere per il raffinato gioco di piani e pianissimi nelle parti più intense del resto dell’opera, in una progressiva maturazione espressiva del personaggio. Soprattutto la sua caratura vocale, così lirica e morbida, si è amalgamata perfettamente con quella a sua volta lirico-leggera dell’Alfredo di Galeano Salas, tenore capace di sfumare nei centri e di squillare sugli acuti (do compreso), cosa sempre più rara da ascoltare nelle voci maschili e che invece ha trovato perfetta corrispondenza anche nel Germont di un fuoriclasse come Ludovic Tézier, di sicuro il baritono più nobile e raffinato in circolazione. L’autorevolezza del suo canto, sempre composto, elegante, intimista resta un modello dei nostri giorni, come ha dimostrato nel duetto del secondo atto, in cui la sua sensibilità per le sfumature e per la naturalezza di uno stile quasi “da conversazione” ha dialogato magnificamente con la Violetta della Fiume, in quello che è stato il momento più alto di un’esecuzione diretta con sensibilità di colori e leggerezza di braccio da Francesco Ommassini, all’interno della cornice – nel senso autentico del termine – dello spettacolo di Hugo De Ana, già precedentemente recensito.

Anche della storica Carmen di Zeffirelli e del nuovissimo Nabucco di Stefano Poda si è già ampiamente parlato: nelle repliche di agosto – sempre dirette autorevolmente da Francesco Ivan Ciampa e da Pinchas Steinberg – si sono segnalate a fianco di Aigul Akhmetshina – Carmen di seducente fascino timbrico e presenza scenica ma anche Fenena di lusso, per l’ampia  cavata degna di un violoncello e la mezzavoce vellutata – la Micaela sempre più incantevole per sensibilità di sfumature e fraseggio di Mariangela Sicilia e l’Abigaille di rilievo di Olga Maslova, forse meno prorompente nel volume di quelle della Netrebko e della Pirozzi ma assai più definita nelle agilità, più belcantista nella linea vocale, più misurata nei trapassi di registro, più raffinata nei pianissimi in acuto, compresi i dolcissimi do del terzetto e dell’aria. Tra i partner maschili abbiamo ritrovato il Don José (a sostituzione dell’infortunato Beczala) di Francesco Meli, sentimentale e appassionato anche a dispetto di un registro acuto sempre più problematico, l’Escamillo aitante e un po’ piacione di Luca Micheletti, il solido Zaccaria di Simon Lim, l’Ismaele vibrante di Galeano Salas, il timbratissimo Abdallo di Matteo Macchioni, giovane tenore di spicco tra gli interpreti dei ruoli minori di questa stagione.

Va fatto un discorso a parte per Amartuvshin Enkhbat, baritono e Nabucco magistrale (il suo “Dio di Giuda” verrà ricordato come la gemma più luminosa dell’intero festival), che ha conosciuto il suo momento di gloria con Rigoletto, ruolo già ampiamente interpretato ma qui ulteriormente maturato. L’Arena ha messo sul piatto i tre grandi baritoni del momento – Enkhbat, Tézier e Salsi – in un confronto per l’appunto in Rigoletto, banco di prova assoluto per questo registro vocale. Ognuno l’ha risolto in modo diverso: il baritono mongolo ha riesumato il canto di antica scuola italiana, dalle grandi arcate vocali a mezzavoce, dalla dizione perfetta, dalla facilità di emissione a qualsiasi altezza, il francese, al di là dell’esecuzione levigata ed elegante, ha restituito un personaggio nobile nel tratto e amaro nell’interpretazione, il nostro Luca Salsi ha preferito puntare invece sull’ampiezza vocale, muscolosa e tonante, un po’ nello stile anni ’50 di tipica tradizione popolare, anche nella pronta concessione del bis della “Vendetta”. Questo Rigoletto – diretto con autorevolezza, misura e finezze stilistiche da Michele Spotti – riprendeva il suggestivo allestimento pittorico di Raffaele del Savio ispirato alle storiche scenografie del 1928 di Ettore Fagiuoli, con la regia convenzionale e non sempre irresistibile in certe trovate di Ivo Guerra (vedi la presenza lacustre di sirene e tritoni ai margini della Mantova rinascimentale di Palazzo Te). Pregevoli sono state le interpreti a rotazione di Gilda, da quella raffinata anche se un po’ leggera per gli spazi areniani di Nina Minasyan, a quella in versione più lirica, dal canto rotondo e sfumatissimo, di un’intensa Rosa Feola, che in questo passaggio a ruoli di maggiore responsabilità (vedi anche la sua Violetta areniana e Lucia, in programma alla Scala) ha mostrato di avere affinato il suo stile vocale ma ancor più la sua sensibilità espressiva.

Mentre nel Duca di Mantova faceva il suo debutto in Arena un tenore lanciatissimo come il samoano Pene Pati, dal fisico possente, dalla voce solare ma dalla tecnica ancora da perfezionare – come si è avvertito da un canto talvolta un po’ estemporaneo e da qualche acuto tendenzialmente a rischio – in replica Galeano Salas si è riconfermato una volta in più cantante affidabilissimo, dalla voce più piccola ma ideale a restituire un Duca elegante, sentimentale e all’occorrenza svettante con la dovuta sfrontatezza. Nel cast si sono segnalati anche il roccioso Sparafucile di Gianluca Buratto, la Maddalena procace di Martina Belli, l’autorevole Monterone di Abramo Rosalen, all’interno di un’edizione dichiaratamente nostalgica per le messinscene di tradizione che fecero a suo tempo celebre il festival veronese in tutto il mondo.

 

Visti in agosto all’Arena di Verona

 

 

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