A metà fra il resoconto e la critica teatrale, il racconto di una serata trascorsa al Teatro dell’Arte di Milano, che ha appena ripreso una regolare attività dopo anni accidentati – Renato Palazzi
Sono andato al nuovo CRT – Teatro dell’Arte di Milano per assistere a Tempête!, uno degli spettacoli della “Trilogia delle Isole”, il progetto realizzato da Irina Brook, la figlia del grande regista. Non ho visto le altre due proposte che compongono questo collage sul tema dei naufragi e delle terre sperdute in mezzo al mare, L’Île des esclaves di Marivaux e Une Odyssée, dal poema omerico: per quanto riguarda la messinscena in questione, mi ha suggerito una serie di riflessioni che vorrei riportare qui di seguito in ordine sparso, senza pretendere di farne oggetto di un’unica recensione.
Il pubblico
C’era poca gente, la sera in cui sono andato, troppo poca per un appuntamento internazionale che non sarà fondamentale, ma offre pur sempre delle importanti suggestioni. Il Teatro dell’Arte per anni ha funzionato marginalmente, per un numero limitato di giornate a stagione. L’anno scorso, per di più, si è aggiunta la crisi del CRT che l’aveva in carico, e che ha offerto una programmazione sporadica e occasionale. Ora che la sala deve tornare ad agire a pieno regime, ci sarà molto da lavorare per riportarla a uno standard di normale frequentazione. Dovendo recuperare un pubblico che si è perso, ci sarà da fare fatica doppia rispetto a qualunque altro teatro. E non credo che una serie di iniziative in ordine sparso – una replica del bellissimo Ultimo nastro di Krapp con Bob Wilson, poi dei gruppi del nuovo teatro italiano, non tutti di richiamo, poi questo collage della regista francese – abbia molto contribuito a restituirle un’identità definita.
Il teatro
Non sono certo che il nuovo ingresso, collocato dentro la Triennale, in comune con l’accesso alle mostre, giovi del tutto ad attirare lo spettatore. Al di là di quello scalone bianco che dall’atrio conduce giù verso la platea, ed è imponente, ma fin troppo gelido e pomposo, ritengo giusto valorizzare la contiguità fra lo spazio degli spettacoli e quello delle arti visive, ma senza rendere il primo subalterno al secondo. Chi passa all’esterno vede ora il Teatro dell’Arte con le porte sbarrate, il foyer buio, l’insegna spenta. Non c’è, né qui né davanti alla Triennale, una “luminosa” che segnali i titoli in cartellone. E un teatro senza la “luminosa” è un teatro senz’anima. A chi non sa, sembra un luogo abbandonato. Il che non suona certo come un incoraggiamento ad accorrervi.
Lo spettacolo
Tempête è una riscrittura della Tempesta shakespeariana nella chiave di una favola moderna, incentrata sul tema del cibo oggi tanto di moda. Prospero è un anziano chef – l’ex “Re della pasta” – cacciato anni prima dal suo ristorante napoletano. Ariel e Calibano sono i nuovi assistenti di cucina. Ferdinando, figlio del traditore, finito sull’isola in seguito al naufragio dello yacht su cui era imbarcato, si presenta come il suo erede: messo alla prova, prepara degli spaghetti alle cozze anche migliori di quelli di Prospero, conquistandone la stima e la mano della figlia. Il finale è buonista: dopo avere perdonato i nemici, Prospero libera anche l’ostile Calibano, dandogli modo di partire con gli altri, e rimane solo sull’isola. Ma Calibano, che a quanto pare gli è più legato di quanto non mostri, torna indietro e decide di restare con lui.
La regia
È una versione ovviamente ridotta e adattata del celebre testo, con qualche inserimento spiazzante, dal canto di Ulisse della Divina Commedia a Nel blu dipinto di blu di Modugno. L’allestimento è spigliato, fatto di nulla, apparentemente semplice: cinque soli attori si dividono alla meglio i vari personaggi. Non ci sono scenografie, ma un pittoresco bric a brac degli oggetti più disparati. Non ci sono costumi, ma abiti appesi a delle grucce. Non mancano le invenzioni divertenti: la tempesta iniziale evocata con le pentole e le fiamme dei fornelli, i piccoli numeri di acrobazia, jonglerie, illusionismo, in omaggio a quella tradizione di nouveau cirque che ha imperversato sulla scena francese degli ultimi anni. Ferdinando, ad esempio, con una bella trovata fa apparire gli spaghetti in un gioco di prestigio. Tutto risulta spiritoso, accattivante, nulla mi sembra particolarmente originale.
Le reazioni
Ho colto, nell’occasione, una curiosa differenza di atteggiamenti generazionali, sulla quale vale forse la pena di riflettere. A me il tutto è parso, appunto, intelligente, piacevole, “carino” ma – senza scomodare impossibili paragoni con La tempesta di papà Peter – fin troppo leggero. Alcuni amici più giovani presenti in sala, attori, registi, gente del mestiere, lo hanno invece trovato intenso, addirittura commovente. Vi hanno colto il calore, la libertà creativa del «teatro che si faceva una volta». Sarà forse che il «teatro che si faceva una volta» probabilmente non esiste, e non è mai esistito, o sarà che, negli anni, a messinscene così fresche e disinvolte abbiamo assistito tante volte, ma per quanto mi riguarda questo ritorno al passato non ce l’ho proprio visto. Ci ho visto, semmai, il gusto di una fantasia giocosa quasi al limite di un certo infantilismo. Che però, evidentemente, è un’altra cosa.
Tempête!
tratto da William Shakespeare
ideato, adattato e diretto da Irina Brook
con Hovnatan Avedikian, Renato Giuliani, Scott Koehler, Jeremias Nussbau e Ysmahane Yaquini
aiuto regia Geoffrey Carey
responsabile di compagnia Renato Giuliani
scenografie Noëlle Ginefri-Corbel
ingegnere suono Samuel Serandour
ingegnere luci/direttore tecnico Thibault Ducros
costumista/assistente scenografo Philippe Jasko
segretario di produzione Angelo Nonelli
coordinamento di produzione Virginia Forlani
produzione CRT Milano | Centro Ricerche Teatrali
in collaborazione con Irina’s Dreamtheatre Parigi e Spoleto56 Festival dei 2Mondi
in lingua francese con sottotitoli in italiano
Visto al CRT – Teatro dell’Arte di Milano. Repliche fino al 7 dicembre 2013