Edoardo Erba, con la complicità del regista Lorenzo Loris, ha allestito uno trampalato western lombardo recitato in dialetto pavese. Efficaci Gigio Alberti, Mario Sala e Monica Bonomi – Renato Palazzi
C’è il veronese imbastardito dei Babilonia Teatri, c’è il toscano dei Sacchi di Sabbia, c’è l’aspro romagnolo di Ermanna Montanari e Marco Martinelli, e non parliamo dello sconfinato bacino di parlate e di accenti che è il nostro Sud: il calabrese di Saverio La Ruina, il siciliano di Emma Dante, l’incomprensibile flegreo di Mimmo Borrelli… Tutti i gruppi più interessanti della nuova scena di questi anni hanno potuto attingere a un dialetto, a una cadenza locale, a una forte, riconoscibile identità regionale che ne ha accentuato e potenziato la peculiare cifra espressiva. Soltanto la Lombardia, con poche altri territori – soprattutto del Nord – per una serie di ragioni storiche e sociali ha offerto alle sue compagnie una lingua teatrale piatta, neutra, priva di radici.
Ben venga, dunque, l’iniziativa di un autore brillantemente sulla cresta dell’onda, Edoardo Erba, che quale tributo di affetto alla propria terra d’origine ha voluto scrivere un testo in dialetto pavese. Chi lo conosce? Chi lo aveva mai sentito, al di là di una ristretta fascia di popolazione autoctona? Si tratta dunque, anche per chi risiede a pochi chilometri di distanza, di una felice scoperta: è un idioma evidentemente terragno, che sa di nebbie e di gelo invernale, un idioma dalle robuste sonorità gutturali, duro, vagamente barbarico, adatto a essere usato in palcoscenico, se si accetta il principio che la comunicazione teatrale risponde ormai a leggi proprie, dove la parola non è necessariamente finalizzata a una comprensione diretta e immediata.
Per l’intreccio, Erba si è ispirato a un fatto vero, che sembra tuttavia partorito dall’immaginazione di uno scrittore di racconti fantastici, uno di quegli scrittori sudamericani nelle cui pagine la realtà sconfina in febbrili visioni e spiazzanti paradossi: si tratta di un articolo, apparso due anni fa sul “Guardian”, in cui si riferiva di un’antica lingua in estinzione, il Nuumte Oote («Vera Voce)», che appassiona gli antropologi perché viene attualmente utilizzata da due sole persone al mondo, due abitanti del villaggio messicano di Ayapa che vivono a cinquecento metri di distanza l’uno dall’altro ma non si parlano da anni, forse a causa di un litigio dovuto a ragioni misteriose, o forse – ipotizzava ferocemente il giornale inglese – perché non hanno nulla da dirsi.
Partendo da questo spunto singolare, l’autore ha costruito una sorta di strampalato western lombardo, con tanto di “duello al sole” finale tra due personaggi dai tratti opposti: da un lato Isidro, il paziente e scontroso contadino, perennemente chiuso nella sua casa con la serva Felipa, che sogna di sposarlo, dall’altro Manuel, istrionico, trombonesco, seduttivo, bandito sceso dai monti su cui si era rifugiato per fargli visita e tornare a pronunciare per pochi istanti – a suo dire – la lingua dell’infanzia. Si scoprirà, via via, che egli è lì sotto scorta dalla polizia, in arresto per avere ucciso un agente, che l’origine della loro ruggine è legato a un antico affronto subito dalla madre di Isidro, e che lo scontro sanguinoso con cui si chiude la vicenda era atteso e sognato da anni.
È un semplice divertissement linguistico? È un apologo filosofico mascherato da parodia di Sergio Leone? Prendetela come volete, sta di fatto che quella vera voce pavese-messicana debitamente sottotitolata – memoria del passato, tanto per Erba quanto per le sue stralunate creature – innesca quasi naturalmente, come per impulso proprio, la messinscena buffamente “etnica” che Lorenzo Loris ne ha ricavato all’Out Off di Milano, in un ironico paesaggio di zucche, sombreri e selle da cavallo. Bravissimi gli attori, che quel dialetto post-testoriano se lo sono dovuto studiare e cucire addosso: sono Gigio Alberti, un esuberante, torrenziale Manuel, Mario Sala, il rancoroso Isidro, e la vivacissima Monica Bonomi nel doppio ruolo della serva e della madre.
Visto a Teatro Out Off di Milano. Repliche fino al 2 febbraio 2014
Vera Vuz
di Edoardo Erba
regia: Lorenzo Loris
scene: Daniela Gardinazzi
costumi: Nicoletta Ceccolini
luci: Luca Siola
con: Gigio Alberti, Mario Sala, Monica Bonomi
sede: Milano, Teatro Out Off, fino al 2 febbraio