Traendo ispirazione dalle performance di Marina Abramovic, Andrea Cosentino gioca paradossalmente con l’arte contemporanea. Apparentemente calato in un contesto più tradizionale, Paolo Giorgio porta in scena “Le affinità elettive” di Goethe, adattandole al nostro tempo. Scopri gli altri spettacoli al debutto – Renato Palazzi
Narratore, performer, autore e interprete di monologhi bizzarramente stralunati, Andrea Cosentino è una figura anomala del nuovo teatro italiano di questi anni: in Not here not now si ispira alla diva della body art, Marina Abramovic, e alle sue rivendicazioni di un’arte calata totalmente nella realtà, nel sangue vero e nell’autentica sofferenza dei corpi. Cosentino si traveste sfrontatamente da Abramovic, gioca paradossalmente con queste sue affermazioni, destreggiandosi fra pupazzi, nasi finti e colate di ketchup. Fino a domenica 2 marzo al Teatro Litta di Milano.
Le affinità elettive di Goethe erano state alla base, quasi trent’anni fa, di una produzione a suo modo “storica” del Teatro Settimo, Elementi di struttura del sentimento, lo spettacolo forse più rappresentativo del gruppo guidato da Gabriele Vacis. A questo grande romanzo ottocentesco sulle passioni e i desideri che sfuggono al controllo di chi ne è portatore torna ora un regista di oggi, Paolo Giorgio, che ne proietta i personaggi in luoghi e situazioni che appartengono al nostro tempo. Lo spettacolo è in programma fino a domenica 2 marzo al Teatro Libero di Milano.
È una ricostruzione scomoda, irriguardosa, a tratti persino sgradevole di una delle vicende più cupe della storia italiana di questi anni, una tragedia al di sopra dei nostri mezzi, certamente più grande del paese che l’ha prodotta e non l’ha mai del tutto compresa: il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro vengono estrosamente rivissuti da Daniele Timpano attraverso telecronache inadeguate, articoli di giornale fuorvianti, barzellettacce d’epoca, deliranti canzoni sessantottine. Il suo geniale Aldo Morto è di nuovo in scena da lunedì 24 all’Elfo Puccini di Milano.
Dovunque vi siano delle discriminazioni razziali, delle forme di intolleranza politica o religiosa, dei conflitti di qualsiasi tipo – dice il regista Massimiliano Luconi – il mito di Antigone torna ad esprimere tutta la sua dirompente universalità. Luconi ha lavorato su una versione moderna della tragedia classica, quella francese di Jean Anouilh, con un gruppo di giovani attori senegalesi, mescolando lo stile del teatro epico occidentale con quello dei narratori tradizionali africani. Lo spettacolo debutta mercoledì 26 al Teatro Fabbricone di Prato.
Risale a una dozzina d’anni fa la suggestiva ma discussa messinscena del Woyzeck che Bob Wilson e Tom Waits avevano trasformato in una sorta di musical “maledetto”, elegante e stilizzatissimo. Si è riallacciato ora, curiosamente, proprio a quella personale rivisitazione del dramma di Büchner il regista ungherese Tamás Ascher, che con la sua compagnia del Katona József Színház di Budapest presenta lo spettacolo giovedì 27 e venerdì 28 alle Fonderie Limone di Moncalieri, nella stagione dello Stabile di Torino.