La bizzarra rilettura del racconto di Lewis Carroll operata da Matteo Tarasco funziona nella sua inquietante ambientazione manicomiale. Romina Mondello ce la mette tutta per calarsi in una parte impegnativa anche sotto il profilo fisico ma la pièce appare monca della necessaria catarsi – Renato Palazzi
Credo che la chiave di questa nuova e bizzarra rilettura dell’Alice di Lewis Carroll firmata da Matteo Tarasco e interpretata da Romina Mondello sia tutta nello spiazzante apparato scenografico, ideato dallo stesso regista: è una stanza lurida, col pavimento sconnesso e le pareti sinistramente imbottite per evitare che i suoi abitanti possano farsi male, un cesso ripugnante, una branda rivestita di lenzuola che non vengono lavate da tempo. È la stanza di un vecchio manicomio, uno di quegli inferni dei vivi spazzati via dalla riforma Basaglia. Ma la sua peculiarità consiste nel fatto che la vediamo da una prospettiva distorta, con l’armadio steso al suolo e il letto che spunta dal muro, come se la osservassimo dall’alto, come se scrutassimo nelle profondità di un pozzo.
È questo antro poco invitante che dà il tono all’intero spettacolo, che ne sposta l’azione verso lo stile dark a cui si ispira. È questa truce ambientazione che strappa la fiaba onirica di Carroll – già di per sé piuttosto inquietante – alla sua cifra infantile, calandola in un’atmosfera pesantemente psichiatrica, e suggerendo così altri possibili significati a certe battute, a certe stravaganti creature che la popolano. È, soprattutto, essa a orientare e determinare il lavoro degli attori, che – costretti a usare la parete di fondo come fosse il pavimento, e quindi a strisciare, ad arrampicarsi su sedie fissate a mezz’aria o a entrare da porte che si aprono a due metri da terra – devono assumere movenze e posture forzate, una tensione fisica che esclude in partenza ogni adesione naturalistica.
In un simile contesto, in cui le stralunate apparizioni nate dalla fantasia dell’autore, Regine Rosse e Lepri Marzoline, Unicorni e Cappellai Matti, sono o infermieri trasfigurati, o pazzi veri, è chiaro che anche le parole più innocue – ammesso che nel mondo di Carroll ve ne siano – acquistano un diverso spessore di realtà, si caricano di ulteriori implicazioni: se Alice, ad esempio, dice «io non sono matta!», se si chiede affannosamente «cosa ci faccio qui?», il suo sgomento assume ben altro risalto esistenziale. Se varie volte si domanda «Chi sono io?», l’interrogativo, in questa luce, tocca zone più misteriose, evoca l’enigma dell’identità, il dramma di uno spaesamento. E l’immagine di lei che vomita con la testa nel water prende un risalto ben più impressionante.
Tutto ciò per dire che l’approccio di Tarasco funziona, a mio avviso, piuttosto bene finché si tratta di dare livida evidenza ai tratti clinici, patologici del testo: il clima febbrile del delirio, dell’allucinazione c’è tutto, e non senza una certa sorprendente precisione. La sensazione, però, è che resti un puro esercizio registico, col solo fine di stupire lo spettatore. Dove infatti la sua analisi voglia portare, non è chiaro: l’obiettivo di ritrarre il disagio di una «generazione incompresa» sembra troppo ambizioso, al di là dell’effettiva portata dell’operazione. E l’ossessiva costruzione visionaria, così com’è, resta priva di sbocchi, senza neppure uno spiraglio di catarsi: la sua piccola morale, accettarsi per ciò che si è, nella propria diversità, appare francamente un po’ sbrigativa.
La matrice cinematografica e televisiva della protagonista, Romina Mondello, induceva a qualche sospetto: invece bisogna ammettere che l’attrice ce la mette tutta per calarsi in quella situazione piuttosto scomoda, e niente affatto accattivante, tenendosi lontana da qualunque tentazione divistica: va detto, semmai, che il modo in cui è affrontato il personaggio non le offre margini per grandi variazioni ritmiche ed espressive. Accanto a lei Salvatore Rancatore, Federica Rosellini e Odette Piscitelli si impegnano a cambiare senza sosta accenti, maschere e costumi per moltiplicarsi in una miriade di figurette secondarie, incubi, presenze inconsistenti, non sempre di facile individuazione.
Visto al Teatro Menotti di Milano. Repliche fino al 23 marzo 2014
Alice
da Lewis Carroll
regia, scene e luci: Matteo Tarasco
con: Romina Mondello, Salvatore Rancatore, Federica Rosellini, Odette Piscitelli
produzione Associazione Culturale Arte e Spettacolo Domovoj
in collaborazione con Festival Teatrale di Borgio Verezzi