Fino al 2016 il Balletto del Marijnskij non passerà più dalle nostre parti. Il Trittico d’Autunno del Ravenna Festival, da questa all’8 ottobre, è quindi un’ottima occasione per non mancare all’appuntamento con questa cattedrale vivente del balletto classico. Vediamo perché – Silvia Poletti
Perché andare a vedere il Balletto del Teatro Marijnskij, in scena da stasera fino all’ 8 ottobre al Teatro Alighieri di Ravenna, prestigiosa appendice autunnale del Festival omonimo?
Perché è occasione per valutare con cognizione di causa lo stato dell’arte di un genere – il balletto classico e neoclassico – che nel mondo sta riconquistando una sua dignità (si veda il successo planetario dell’operazione in streaming World Ballet Day) ma che in Italia sta soffrendo una crisi drammatica, forse irreversibile, dalla quale fatica a uscire lo stesso Teatro alla Scala (talenti giovanissimi che se ne vanno; poche produzioni; stars che vanno e vengono rivoluzionando cast e creando disappunto negli spettatori).
Perché negli ultimi trent’anni il Marijnskij ha saputo evolvere la pura tradizione classica ottocentesca e di fatto sta diventando il depositario d’elezione anche dei capolavori del suo figlio – transfuga – più prestigioso e importante per la storia del Novecento, George Balanchine, oggi facendo ancor meglio e, più del suo New York City Ballet (se è vero, come si sussurra che il sogno del suo direttore assoluto Valeri Gergiev sia di portare tutto il repertorio del maestro pietroburghese nuovamente ‘a casa’) .
Perché nonostante numerosi fattori interni che di volta in volta fanno oscillare il primato della danza accademica russa tra San Pietroburgo e Mosca (dove ora è smagliante e agguerrito il Balletto del Bolshoi), il Marijnskij è fucina di danzatori ineguagliabili per purezza di stile, elegante lirismo, aulica serenità. E quella spirtualità insita nel movimento che i pietroburghesi non allontanano mai dalla parola danza. Un inprinting davvero unico, che in questo mondo sempre più globalizzato riguarda non solo i diplomati dell’accademia Vaganova (erede della Scuola Imperiale del Marijinskij ottocentesco) ma anche i danzatori di altre parti del mondo che oggi danzano in compagnia (come il coreano Kimin Kim o il britannico Xander Parish).
Al Teatro Alighieri di Ravenna, da stasera tre i programmi che si alternano a ‘miracol mostrare’. L’imprescindibile Lago dei Cigni (2, 3, 7 ottobre), ovvero la summa del lirismo e dell’accademismo di cui sopra. Di tutte le versioni ed esecuzioni in giro per il mondo, questa è la più pura, sincera, devota. Da vedere, almeno una volta nella vita, anche se si è adepti del radicalismo più estremo. Nei suoi atti bianchi si scopre quanto, nel Novecento, è stato ‘saccheggiato’, ripensato, destrutturato, analizzato. E si scopre quanto il senso dell’armonia e della bellezza possa ancora far battere il cuore.
Giselle (5 -due spettacoli- e 6): tutto è cominciato da questo capolavoro romantico, nato dal sogno di un poeta innamorato e tradotto in una danza che riesce a diventare inesauribile canto senza parole. Un testo che nel repertorio della danza sta alla protagonista come Amleto sta all’attore.
Trittico Novecento (4 e 8 ottobre): forse lo spettacolo più sfizioso perché meno ‘pop’. Anche se si tratta di tre capolavori – Les Sylphides, Apollo, Rubies. Nel primo, difficilissimo perché elusivo, di Mikhail Fokine c’è la sintesi di un ideale estetico e poetico che nel primo Novecento si sta trasformando in pura forma, in sublime ghirigoro liberty. Gli altri due sono due capisaldi balanchiniani, il primo epoca Ballets Russes (1928) il secondo in piena gloria newyorkese (1967): da quest’ultimo, si può dire in sintesi, parte tutta la danza postclassica del nostro tempo.
Tra i danzatori presenti nella tournée ravennate oltre a Parish e Kim, spiccano i nomi di Victoria Tereshkina, Olga Esina, Kristina Shapran.
Ma come sempre accade, la scoperta di una nuova gemma è dietro l’angolo.
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