Michele Di Stefano vincitore del Leone d’Argento per la Danza alla Biennale di Venezia 2014 firma per Aterballetto una creazione ‘virtuosistica’, che rivela il suo gusto di lavorare con questi interpreti speciali -ve viceversa. È il più recente segno del nuovo corso della compagnia ‘di bandiera’ sempre nel nome della creatività coreografica e dell’eccellenza interpretativa – Silvia Poletti
Da qualche stagione Aterballetto ha impresso un’accelerazione alla trasformazione del suo repertorio, fino a qualche tempo fa quasi completamente a firma Mauro Bigonzetti. E questo non solo perchè il coreografo romano, che ha diretto la compagnia per dieci anni, sta manifestando il desiderio di ridimensionare la sua presenza nel catalogo della compagnia, ma soprattutto perché Cristina Bozzolini, che firma la direzione artistica del complesso emiliano, ha da sempre irrefrenabile nel suo DNA culturale una impellente necessità di perlustrare le diverse ipotesi di sviluppo poetico e compositivo della danza di oggi che possono combinarsi dall’incontro di esperienze, estetiche e tecniche diverse.
Giova ancora ricordare come, ai tempi del Balletto di Toscana, per la prima volta osò affidare ballerini di formazione classica a coreografi (allora) emergenti come Virgilio Sieni, Fabrizio Monteverde, lo stesso Bigonzetti (senza contare l’interessante lista di autori contemporanei internazionali, da Preljocaj a Cesc Gelabert, da Van Manen a Christopher Bruce). Oggi la sfida è comunque ancora più intrigante perché da un lato Aterballetto è una compagnia istituzionalizzata, dall’altro lo scenario è molto più complesso, allo stesso tempo frantumato e fluido, con autori internazionali contesi (sempre o quasi gli stessi) da tutte le compagnie del mondo, con una realtà nazionale che fatica ancora a mettere a fuoco talenti maturi di una generazione creativa più giovane rispetto quella su menzionata.
Ma non è allora forse questo il momento più giusto per rischiare? Per fare sì che la compagnia ‘di bandiera’ nazionale, oltre a mostrare quanto di più interessante offre coreograficamente parlando la danza nel mondo contribuisca a innescare nuovamente il processo creativo del mainstream di quella nazionale? Bozzolini pensa di sì e snocciola nomi imminenti nel carnet di Aterballetto (Andonis Foniadakis e Johan Inger con due creazioni appositamente concepite per la compagnia; un progetto con Hofesh Schechter), mentre sul piano italiano – che tutto sommato interessa di più- pone dei distinguo: inviti ad autori con visioni diverse per sfide sempre nuove, ulteriore scouting per individuare i talenti futuri, possibilmente da ‘allevare’ e far sbocciare. “Finchè ho energia, su questo non mi fermo”, afferma la direttrice, immaginando un prossimo futuro con più coreografi associati alla compagnia, come avviene nelle principali formazioni internazionali.
Ecco così che l’ultima proposta di un autore italiano vede cimentarsi Michele Di Stefano, personalità eclettica, intelligente e radicale che negli anni con il suo gruppo MK si è imposto nelle maggiori piazze dedicate alla Nuova Scena, fino a ottenere dalla Biennale di Venezia 2014 il Leone d’Argento per la Danza. Un outsider, che dopo un passato da musicista punk e una laurea in letteratura tedesca arriva alla danza da curioso intellettuale più che da practitioner, ma che ha ben chiaro come perno della sua ricerca il lavoro dinamico nello spazio. Ovvero la variabile struttura architettonica che il movimento può fare assumere ai corpi nello spazio e la sua costante evoluzione, dovuta alle continue declinazioni di velocità, gravità, ampiezza di gesto.
Scelti nove travolgenti solisti, Di Stefano ha creato Upper East Side su musiche originali di Lorenzo Bianchi Hoesch. L’indicazione geografica suggerisce le proiezioni del movimento – singolare e plurale – dettate ai danzatori: ci si muove sempre con una proiezione verso la parte alta del palcoscenico, a destra (per chi guarda). Ciò nonostante, la lunga fila in cui di volta in volta si ricompattano i ballerini è pronta a sfaldarsi di nuovo in ogni dove – rispettando la regola del ‘nessun punto fisso’ di Cunningham. La sequenza base esposta all’inizio da una solista si scompone e ricompone in una variabile di soluzioni, dislocate nello spazio e negli stessi corpi degli interpreti che esplorano le loro personali geografie fisiche, le variabili labaniane dell’aere circostante attraversato da ognuno dei molteplici nessi mobili del nostro scheletro, dominato con misteriosa, magnetica potenza dai nove.
Come già avvenne per Tempesta/The Spirits firmata per ATB da Cristina Rizzo, anche qui la domanda sorge spontanea: è la danza a rendere belli i danzatori o i danzatori la danza? Qualunque sia la risposta vera, l’impressione è che sia coreografo che interpreti abbiano vissuto l’esperienza, mi si passi il concetto, con goduriosa golosità: l’esito in scena è insieme energizzante e suadente.
La serata alla Cavallerizza di Reggio Emilia, nell’ambito di Aperto Festival, proponeva anche gli ultimi esiti coreografici di due danzatori dell’Aterballetto. Nude anime del generoso Valerio Longo risente però dell’estetica cervellotica e ridondante dell’ex direttore Bigonzetti e suggerisce al suo autore, per il futuro, il prezioso mantra balanchiniano: less is more. Philippe Kratz rivela in SENTieri (titolo bruttino…) l’intenzione di ‘ascoltare’ le proprie emozioni e tradurle in un intreccio di danza, non solo estetizzante ma capace di entrare nelle pieghe più intime dei ricordi e delle sensazioni. Una sfida difficile la sua, oggi: ma da quanto si è visto, da sostenere sicuramente.
Non sarebbe male, del resto, riflettere sulla formula, semplice ma allo stesso tempo aurea, suggerita a chi chiedeva ‘come si diventa coreografi’ da una leggenda della danza mondiale come Jiri Kylian, presente a Reggio Emilia per presentare al ReggioEmilia Film Festival i suoi film: “ Se di notte non riesci a dormire perché senti l’urgenza di qualcosa dentro di te che ti tormenta e ti emoziona, se senti che hai la necessità di comunicarla a tutto il mondo, allora il giorno dopo, in sala, in qualche modo sarà nato un coreografo.”
Visto al Teatro Cavallerizza, Reggio Emilia il 22 ottobre 2014
Upper East Side
coreografia Michele Di Stefano
musica Lorenzo Bianchi Hoesch
disegno luci Carlo Cerri
Nude Anime
coreografia Valerio Longo
musiche originali Matteo Stocchino
foto Bruno Cattani visual Kalimera
luci Carlo Cerri
SENTieri
coreografia Philippe Kratz
musiche: F. Chopin, A.Grisendi, G.Haines, S. Yanovsky
luci:Carlo Cerri
Compagnia Aterballetto
la foto in apertura è di Alfredo Anceschi
date e tournée di Aterballetto qui